232 GRAVE INSULTO ALLA SOVRANITÀ VENETA l’aria. Invece gli avvenimenti ebbero un altro corso, per causa dei Triestini. La Repubblica aveva il dominio del mare che esercitava con rigore, considerando l’Adriatico quasi il suo naturale territorio e pagando tale esercizio di potere con sacrifizi immensi, che le conquistavano allora l’universale riconoscimento del suo diritto. Naturalmente, Stato bene ordinato com’era, la Repubblica aveva fissato le norme per la navigazione, che dovevano essere rispettate dai suoi cittadini, dai suoi sudditi e da tutti i naviganti adriatici. Per impedire contrabbandi o infrazioni alle leggi, teneva delle navi armate che sorvegliavano le vie del mare e i naviganti. Nel luglio 1368 un panfilo (sorta di piccola nave) triestino, che non aveva le carte in regola, fu fermato presso Duino dalla fusta veneta che passava di là prò obviandis contrabannis: accusato d’irregolarità, il capitano triestino ebbe ordine, come sempre avveniva in tali casi, di recarsi a Venezia. Egli fuggì invece nel porto di Trieste. La fusta lo inseguì e venne anch’essa nel porto, catturando il panfilo. Ma quivi nacque un tumulto, poiché il padron di barca sostenne di essere stato nel suo diritto e chiamò marinai, bastasii (facchini) e altri cittadini a aiutarlo. Sembra che due dei giudici, Michele de Ade e Domenico de Leo, della fazione antiveneziana, non solo prendessero le parti della nave triestina, ma incitassero anche i cittadini a farle aver ragione. Infatti, alcuni uomini, prese le armi, salirono di notte sulla fusta veneta, uccisero il suo còmito, ferirono otto marinai e liberarono la nave catturata. L’episodio di violenza tumultuaria, commesso per ispirazione di gente o irresponsabile o folle, costituiva uno dei più gravi reati che si potessero commettere contro la sovranità marittima di Venezia, esponeva la città o a rappresaglie gravissime o a umiliazioni non meno tristi. Era, per la Repubblica, un delitto enormis et gravissimus et vatde contro, honorem. Essa non tardò a rappresagliare, com’era di suo diritto (nessuno allora glielo avrebbe contestato) e, istituita una commissione di cittadini deputati super factis Tergestinorum, espulse dai suoi domini tutti i Triestini, eccezione fatta per quei fedeli di Venezia che v’erano in bando. Il Comune triestino capì tosto di dover chiedere scusa e dare riparazione. Facina di Canziano, Francesco dei Bonomi e altri cittadini