416 PIETRO E FRANCESCO BONOMO - G. B. CANCELLIERI adoperata in tutti i modi, affinché a quella cattedra fosse chiamato il magister italus Francesco Bonomo. Codesto carattere rappresentativo dato a un Triestino è molto significativo per quel tempo, quando la città, tutta circondata dagli stranieri, aveva quel severo sentimento italiano, che abbiamo conosciuto. Poeta latino appare essere stato ser Ganorio de Ghenana, morto combattendo nel 1463 e che nel suo quaderno di vicedomino, tenuto l’anno 1450, scriveva versi latini di contenuto filosofico. Se il testamento del canonico Giambattista dei Cancellieri, figlio dell’eroico Cristoforo, fosse stato eseguito, questi conterebbe tra i più noti cultori dell’umanesimo. Prima del 1500, egli aveva scritto un commento all ’Eneide di Virgilio e aveva preparato il testo e il commento pelle tragedie di Seneca: ordinava appunto ai suoi eredi di dare alle stampe detti commenti. Si dovrebbe ammettere — da quanto sinora sappiamo —. che tale ordine non sia stato eseguito. Ricorda il Cancellieri di aver copiato molti manoscritti: da Quintiliano e Strabone a Claudiano, a sant’Agostino, a P. P. Vergerio, e diversi altri. Aveva, in più, compilato delle note a Giovenale e aveva postillato Sallustio, Ausonio e le Tu-sculane di Cicerone. Il Cancellieri ricorda infine, oltre a un repertorio di leggi, un libellus antiquarum adnotationum da lui edito: era una raccolta di iscrizioni o una di scoliasti? Opera umanistica interessante è anche l’Epistola sulla minaccia turca, che fra Michele de Pace scrisse, nel 1472, rispondendo ad un suo amico capodistriano, ma che era diretta a principi e a potenti. Essa è ispirata dall’angoscia, con cui i Triestini guardavano agli aperti valichi delle Alpi, dove passavano e ripassavano i Turchi, arrivati, come abbiamo veduto, sino alle porte della città. Fra Michele era stato, sino al 1471, anno d’invasione turca, priore del convento dei Santi Martiri a Trieste, dove ritornò dal 1495 al 1499: nel 1472 era nel cenobio di Praglia. Ancorché infarcita di citazioni cristiane e classiche, la lettera non perde la nobiltà della sua ispirazione nel sentimento con cui accenna alle rovine che incombono sull’Italia, divisa dalle lotte intestine: Heu te infelicem et dolendam nimis Italiani, principes tui dormiunt, lethargum patiuntur. Ubi sunt qui te olim industria, vi, armis defendere consueverant? « O infelice e troppo miseranda Italia, i tuoi principi dormono, soffrono il letargo. Dove sono quelli che una volta solevano