130 LA SOTTOMISSIONE A VENEZIA (nos et terra.ni nostram ac omnia nostra sue potentie facere subditos, dice il documento) e di obbedire a tutti i precetti del Doge. Enrico Dandolo rispose ai Triestini che voleva dimenticare la loro matitia e che li riprendeva nella sua grazia; disse quindi che ritornassero subito in città e preparassero il popolo a riceverlo. Il 5 ottobre 1202, accompagnato da un potente stuolo di crociati e di altri armati, il Doge giunse a Trieste e scese alla riva, accolto dalla moltitudine dei cittadini, dai sacerdoti e dai chierici in pompa solenne e coi ceri accesi, nonché dal rombo pulsante delle campane di San Giusto e delle altre chiese. Il vecchio e gigantesco Dandolo, a cui la canizie e la cecità conferivano una maestà ieratica, circondato da magnifici baroni francesi, da un austero gruppo di patrizi veneti, da autorità civili, tra cui il potestà di Capodistria, e da ferrigni crocesegnati soldati, ricevette l’omaggio dei rappresentanti triestini che si sottomisero sue dominationis potentie. Quindi, convocati nella piazza i cittadini, volle giurassero di mantenere fedeltà a lui e ai suoi successori, di non imporre tributi ai Veneti nella città, di prestare al Doge gli stessi servizi che prestavano le altre città istriane e di inseguire e debellare i pirati che si fossero presentati più su di Rovigno. Tale sacramentum fu nominativamente giurato dal gastaldo Vitale, dai tre giudici Pietro, Vodolrico e Leo e da trecentoquarantasei cittadini, che sono elencati in base al documento conservato e che dichiararono di aver fatto la promessa con animo lieto e attento. S’impegnarono altresì a mantenere al Doge il tributo di 50 orne di vino puro del territorio e di portarlo, a loro spese, alla riva del Palazzo ducale, ogni anno, il giorno di san Martino. Ottenuto il giuramento il Doge ritornò alla flotta. Venezia aveva imposto la sua autorità sopra quella dell'impero.