3io IL PORTO - LE IMMIGRAZIONI rifornirsi i piccoli clienti della piazza: i due soci vendevano panni e carta, candele di cera e chiodi, spezierie e vetriolo, confetti e zolfo, zucchero e mercurio, pettini e zénzero, cuoi, corda, cavezze e fazzoletti di lino, pezze di doppione d’oro o di seta, borse di seta, oro filato in oneie nonché riso, mandorle e camicie e mutande e altri generi diversi. Un contratto del 1328, per merce venduta a un mercante di Trieste e della quale si garantisce — per mezzo di un assicuratore triestino — l’arrivo «libero e franco d’ogni rischio» nella città, offre, secondo il Basilio, una prova irrecusabile della priorità storica italiana del contratto d’assicurazioni. Il porto, detto più tardi mandracio, era ristretto e chiuso. Dallo spazio, naturalmente o artificialmente interrato tra le mura e il mare, detto la gradata, sporgeva un molo, lo muòl de la becheria, che aveva questo nome perché si trovava dinanzi el tor dello stesso nome, la quale torre era elevata, a sua volta, dietro la beccheria del Comune. Di fronte a questo molo era una diga ricurva, congiunta alla gradata col ponte de la donna e terminata in un tor dei pescadori oppure dei pes’cedori. Diga e molo si accostavano per formare la bocca o bocuta de! porto, che si chiudeva di notte con le catene. Più a mezzogiorno, verso Cavana, c’era il moiette Tiepolo, così chiamato dalla omonima torre. La ragione stessa dei commerci e lo sviluppo della città, come unica oasi in un mondo semibarbarico esteso alle sue spalle sino al Danubio, conducevano dentro le sue mura qualche straniero, specialmente slavo. Anche l’estensione della diocesi sui Carsi, ormai slavizzati, effettuava l’inurbamento di Slavi: un Tomassio « sciavo de la Piuca » era nel 1348 « cappellano della chiesa triestina » e ricordava, nel suo testamento, altri Slavi dimoranti nella città. Nel xiv secolo troviamo degli Slavi stanziati in alcune località del territorio, dove non apparivano nei tempi anteriori: per esempio a Prosecco. Ma, in genere, vediamo non raramente codesti Slavi scendere alla spicciolata verso il mare, mentre si legge di proprietà vendute a persone che venivano dai Carsi a Cedàs, a Zaule o a San Saba. Per quanto riguarda la città, ben maggiore degli stranieri era il numero dei forestieri che vi abitavano: istriani, friulani, italiani d’altre regioni, in più di parecchi negozianti veneziani. Un grosso nucleo di Toscani venne gettato sotto San Giusto dalle discordie di quella terra.