70 L’OPERA DEL VESCOVO PEDRAZZANI nimenti turbassero dal 1368 al 1385 la città e come certamente poco tempo, poche occasioni e poco denaro ci potessero essere per un’opera di quel genere. Di essa sarebbe rimasta traccia nei numerosi e svariati documenti conservati da quel tempo. Non se ne trova, per contrario, alcuna. In quanto al vescovo Pedrazzani, le memorie che gli si riferiscono sono d’una precisione senza equivoci. Un vecchio codice delle costituzioni capitolari dice in latino: « il dì 7 marzo 1320 morì il reverendissimo padre in Cristo il signor Rodolfo de Rebeto (recte Rebeco) vescovo triestino, che riparò la chiesa e riedificò interamente Vepiscopio e ricuperò molti beni del vescovato già perduti ». Il documento usa termini esatti e espliciti: il vescovo Pedrazzani fece unicamente dei restauri a San Giusto: ricostruì invece appieno la dimora vescovile. È ovvio oltremodo che, se egli avesse ricostruito totalmente la chiesa, questo sarebbe stato detto da quel documento in modo altrettanto esplicito, com’è detto dell’episcopio. Il pieno rifacimento della chiesa sarebbe stataopera ben più degna di memoria che quello dell’altro edificio. Arrogi che le costituzioni capitolari sono confermate da un’iscrizione riportata dal Cappelletti su apografi più antici. Essa stava nella parete del coro della cattedrale e diceva in latino, secondo la copia tramandata: « nell'anno 1304 Rodolfo Morandino ossia de Pedrazzani di Castel Rebeco glemonese (recte cremonese) restaurò il tempio del divino san Giusto e lo decorò con pitture e con imagini ». L’iscrizione, della cui autenticità non v’ha motivo a dubitare e che non può essere se non coeva al Pedrazzani, conferma che l’opera di questo vescovo consistette unicamente in un restauro e che esso l’anno 1304 era già finito. L’iscrizione fu nota al Rapicio (citato dallo Scussa) il quale ricordò come il vescovo Rodolfo « in breve spazio di tempo » restaurasse la chiesa di san Giusto e l’ornasse « di pitture e d’imagini ». L’iscrizione fu veduta e non esattamente letta, intorno al 1690, anche da Pietro Rossetti, corografo della diocesi, che nominò i restauri e i dipinti fatti fare dal Pedrazzani, attribuendoli al 1303. Ma l’iscrizione del 1304 dice molto di più: essa attesta che il «tempio di san Giusto» esisteva già in quell’anno con quel nome, qual’è oggi, e che era allora già tanto antico da aver bisogno di restauri memorandi. Il Kandler si è fondato su alcuni documenti del xiv secolo, che ricordano aiuti dati alla «fabbrica» di san Giusto. Ma «fabbrica»in quei documenti è ciò che noi chiamiamo fabbriceria o opera del duomo. Nel