388 IL CONFLITTO CON LA CARNIOI.A la comunità all’imperatore, questi (il 27 dicembre 1491) ingiunse al capitano della provincia di non chiamare alla dieta i Triestini, poiché questo era contro ogni tradizione e la città non aveva alcun obbligo, né diritto di partecipare a quel parlamento. L’Imperatore aveva però, nel frattempo, concesso agli Stati carniòlici di esigere anche a Trieste una imposta straordinaria messa nella Carniola. Si oppose la comunità e, nel 1492, l’imperatore riconobbe la giustizia del ricorso, vietando ai Carniòlici di porre tasse a Trieste. In tal modo, vivendo faticosamente, la città salvava la sua personalità geografica e storica e anche il suo carattere nazionale. La sua intransigenza nel volersi compiutamente staccata in linea politica dalla Carniola era assoluta. Voleva sempre la congiunzione economica: ma questa, non la volevano i Carniòlici. Poco prima di morire, nel 1493, Federico III impose per l’ennesima volta ai mercanti cranzi di scendere a Trieste: fu carta sprecata ancora. La popolazione non s’acquetava, né si allietava. Grande tristezza produceva il continuo passaggio dei Turchi sui Carsi: nessuna forza imperiale li tratteneva, mentre si buttavano contro il Friuli. La chiesa triestina e non pochi cittadini ne avevano danni incessanti. Il pericolo che quelle inondazioni feroci calassero verso il mare, come nel 1471, teneva d’anno in anno la vita cittadina sospesa sul male. Si coltivavano i campi e le vigne, ma nessuno sapeva se avrebbe raccolto e vendemmiato. Lavorava tra i malcontenti, specialmente tra i minuti, l’elemento favorevole a Venezia, al quale la politica di attriti esercitata da Federico, dai conti di Gorizia e poi da Massimiliano I verso la Repubblica apriva nuove possibilità. Lo spirito nazionale, con cui San Marco conduceva la sua politica, trovava rispondenza, come vedremo, anche sotto San Giusto. Nel luglio del 1496, avendo l’imperatore chiesto un grosso prestito di danaro a Venezia, qualcuno in Senato propose gli si chiedesse in pegno Pordenone e Trieste: ma « non fu preso », dice il Sanudo. Ai gravi disagi causati dall’inimicizia economica del retroterra e al malessere suscitato dal regime, si mescolarono altri sentimenti, rancori e ricordi sanguinosi. Un sordo mormorio, uno spirito di rivolta o un indifferentis mo scettico erano abituali fra i cittadini. Viveva alla Corte dellTmperatore Massimiliano, in qualità di cancelliere àé\Y aula latina, Pietro de Bonomo, valentissimo maneggiatore