XX. I LA RIBELLIONE CONTRO IL DOMINIO AUSTRIACO È facile capire quali conseguenze avesse l’infelice guerra dentro la città, specialmente nei rapporti col dominio. Nel trattato di pace era codificato che Venezia aveva combattuto « per la difesa e per la tutela dei suoi sudditi »: che aiuto aveva avuto Trieste dallTmperatore? Di più, rotta la politica commerciale, che s’era tentata col forzamento delle strade, quali prospettive rimanevano oramai per la mercatura e per gli scambi marittimi? I partiti si combatterono con rancore e astio estremi, facendosi l’un l’altro il conto. Gli uni parlavano di tradimento, accusando gli avversari di aver voluto vendere la città ai Veneziani e di aver reso impossibile la resistenza. Gli altri contrattaccavano, imputando alla traboccata leggerezza del partito della guerra l’aver provocato San Marco e l’aver chiamato sulla città tante sventure. Più nella miseria, nella carestia, nel fallimento dei commerci si provavano le conseguenze della guerra atroce e più gli odii incrudivano e si concitavano. Trieste si divideva sempre più nettamente in due fazioni: l’una tendeva a porre la città, anche per salvarne i commerci, sotto il dominio di Venezia; l’altra a impegnare più fortemente l’imperatore nella signoria della città e nelle sue sorti. La lotta sfendeva le maggiori famiglie della nobiltà: i Bonomo, i Burlo, i Giuliani, i Toffani, i Baiardi si dividevano nei due campi. Federico III, o perché considerasse rotti i patti del 1461 o perché fosse sollecitato a non osservarli dalla fazione che l’odio contro Venezia rendeva sempre più asburgica, ripigliò l’esercizio della sovranità, mandando nel 1464 un capitano nella persona di Lodovico Kosiacher. Nel