Marcia forzata 193 maggio a settanta chilometri di distanza. A Fort Portai il Principe incontrò il reverendo Fisher con la moglie e Wol-laston che prima di lui avevano tentata la scalata, e da loro, come da Russel pel Sant’Elia e da Nansen per la banchisa polare, ebbe consigli e notizie preziose. Intanto Cagni, soverchiato da un febbrone ardente e tenace, giaceva smagrito sopra un letto dell’ospedale di En-tebbe. La crisi fu asprissima. La convalescenza cominciò solo ai primi di giugno, di giorno in giorno sempre più tormentosa perché col ricupero delle forze cresceva nell’uomo l’ansia di partire, di raggiungere i compagni ormai tanto lontani. In quello sconosciuto paese equatoriale che gli era più estraneo dei ghiacci polari, trascorse lunghe giornate di insopportabile inerzia senza neppure la fedele compagnia dei tre che aveva avuto al suo fianco sullo squallido deserto della banchisa. Fra il continuo rischio di ricadute e di finire consunto in mezzo a pochi stranieri, lontanissimo dalla famiglia, dalla patria, dal Duca, dalle sue navi, senza gloria, per una stupida malattia, la sua intolleranza diventò feroce. Trascorreva le ore fissando, oltre la finestra della sua stanzetta bianca, le remote ondulazioni di quella terra lussureggiante, il gran lago luminoso e le isole verdi. Sentiva fervere nella calura equatoriale, intensa, profonda, misteriosa la vita universale. Tanta luce e tanto calore, cosi vitali in confronto al gelo nordico, lo aiutarono a riprendersi, a non dubitare mai della salvezza anche negli istanti di maggior pericolo. Ma il pensiero assillante che mentre lui era li fermo i suoi compagni si avvicinavano alla mèta, lo esasperava; nella febbre lo ossessionava la visione della carovana del Duca allungata per boschi e radure sotto cieli infuocati dal sole o grevi di scroscianti bufere, sempre in cammino fra erbe altissime, canne e papiri, liane, acacie, mimose, sesami, papaie, euforbie, e paludi attraversate dalla pista percorsa dalle rade carovane indigene recanti sale ed avorio. Più oltre era la montagna da conquistare, il rischio e l’onore. Quella visione durava fino a lontananze di allucinazione nel delirio della febbre che la confondeva. A sera la stanchezza lo intorpidiva. E nella notte subitanea gli occhi lucidi dell’infermo vagavano