148 PATTI DEL COMUNE COI. VESCOVO I rettori del Comune, uomini della migliore borghesia e mercanti, stimarono ch’era giunta un’occasione d’intervenire: avrebbero pagato essi il debito, avrebbero liberato il vescovo dal tormento assillante delle usure; rinunziasse egli alle sue giurisdizioni e alle immunità, cassasse tutte le sentenze e tutti i processi istituiti contro i propugnatori della sovranità del Comune e del popolo, lasciasse in pace rettori e cittadini. II patto fu presto conchiuso. Il vescovo, che forse si sentiva poco sicuro sulla cattedra, non si fece ripetere troppi incitamenti. I rettori, tra altro, gli mostrarono un documento anticamente falsificato per provare che nel 948 il Re Lotario aveva concesso piena libertà alla città di Trieste. Sostennero i rettori che il Comune era stato sempre franco da ogni potere per privilegi concessigli dagli Imperatori dei Romani. Chiesero al vescovo che rinunziasse alla sua parte di diritto nella zecca e cedesse al Comune tutti i privilegi fig 42: che la Chiesa aveva avuti dagli Imperatori e dai Re. denaro del 1236 . Non volevano spogliare la Chiesa triestina: le lasciavano la giurisdizione canonica, i possessi, le decime, le cedevano i diritti feudali nei villaggi del distretto e di fuori, riservandosi però la giurisdizione superiore sui contadini e il diritto di chiamarli alle armi e ai lavori pubblici. Restituivano altresì alla Chiesa la muda della porta di Riborgo; il Comune avrebbe difeso i suoi beni e quelli del capitolo contro robatores et malos homines. Giovanni stimò vantaggiose le proposte. Acconsentì al contratto e rinunziò tutto quanto gli fu chiesto. Il Comune versò le 500 marche, che l’ebreo David si affrettò a intascare. E il 21 febbraio 1236 il patto fu giurato sugli Evangeli: per la città giurò Pietro di Bernardo, « sindaco procuratore e massario del Comune e del popolo ». Il guelfismo aveva ottenuto una brillante vittoria: il vescovo aveva cessato di essere il rappresentante dell'impero ed era divenuto il semplice pastore di una città indipendente. Quello stesso anno il Comune coniò moneta sua, senza cenno del vescovo: nel rovescio l’imagine di san Giusto e nel dritto un emblema della città con le tre torri, forma più recente del sigillo comunale (fig. 42). Questo « denaro » d’argento fu il simbolo circolante della sovranità del Comune.