400 IL COMMERCIO campo, Fioricarda, Fiorenza, Gentile, Ignera, Liabella, Portafìore, Ral-legralcore, Rosanata, Smeralda, Soradamore, Viola, ecc. L’esercizio delle armi — specie il bersaglio con le balestre — fu obbligatorio per i giovani. I quali s’addestrarono anche ai giochi e ai diporti. Come s’usa oggidì, anche allora squadre di giocatori andavano da città a città in cerca di allori: si ricorda che nel 1430 una squadra di giocatori triestini vinse il pallio a Cividale. Di feste pubbliche quasi nessuna notizia. Probabilmente si correvano i pallii il dì del Corpus Domini. Il Comune pagava i piiari e un trombeta, che accompagnavano le processioni religiose o ché suonavano per le feste di carnevale nel gran ballo dato a Palazzo. Il Comune pensava anche ai contadini del territorio: troviamo, nel 1449, pagati pifferi e trombetta che « sonàreno soto la logia ali sciavi corno è usanga ». Festa giuliva era a Calendimaggio: si faceva « corte nuova », si insediava il secondo reggimento dell’anno e si distribuivano frittelle e molto vino. Il commercio (non quello marittimo), finché potè durare, fu l’occupazione e la preoccupazione di quasi ogni citadin de Trièst. Si mettevano a commerciare anche i maestri di scuola chiamati dal Comune: commerciava anche Romeo de Zovenzoni, avvocato del Comune, « famoso dottor di leggi ». Commerciare era la regola della vita, quando non si faceva guerra o non ci si straziava nelle lotte civili: commerciare al minuto, con speculazioni complicate, con traffici di piccole partite, con botteghe de merceria e de speziarla, piene d’ogni specialità. Qualche affare più largo si menava in cori (pelli), ferro, carne, vino, olio, sale e legname. Nel i486 troviamo una infelice compania o società, che liquida in cattive condizioni una grossa partita di ferro e di cento buoi a Venezia. È ovvio che l’intensità del commercio variò da decennio a decennio, subendo le crisi tormentose, di cui abbiamo parlato. Dai documenti pubblicati dal Cavalli si vede com’esso rimanesse tuttavia modesto: v’ha qualche rara notizia di negozi tentati su larga scala, come quello del bresciano Alvise Marenzi (1481), che aveva società con altri « de far merchancia in la parte de Lubiana e de Petovia et de Ra-chispurg et verso Ongaria ». Nel 1491 una società commerciava in panni e coloniali tra Venezia, Trieste e l’Ungheria. Ma quasi sempre i limiti dei traffici erano brevi.