LUSINGHE E RIPULSE VENEZIANE 38l Si scrivesse quindi al podestà di Capodistria che, chiamato a sè l’amico triestino, gli dicesse, a nome del Senato veneziano, che questo comprendeva i danni e i dolori che i Triestini soffrivano per causa degli officiali imperiali, perché aveva caro quel popolo non meno di qualunque altro delle città istriane; che li ringraziava della loro volontà di venire sotto il dominio di San Marco, ma che, causa la guerra minacciata dai Turchi, li esortava a non tentare in questo momento una ribellione e invece a fig. 91: affresco della fine del xv secolo (nascosto dietro l’armadione nel Tesoro del duomo) aspettare che il tempo facesse maturare un momento più favorevole al desiderio comune. E così per una seconda volta il partito veneziano fu respinto o almeno paralizzato da Venezia stessa. Il dominio austriaco, non ebbe però maggior agio di opprimere la città, giacché quivi il malcontento si fece sempre più bisognoso di riguardi politici. Anche la parte vincente del 1469 non poteva ammettere che l’autonomia del Comune fosse così completamente abolita e che nella vita pubblica forestieri e stranieri tenessero la briglia. Era sempre nel vicariato civile il Pizzoli, d’infausta memoria, fatto conte palatino. Il governo doveva avvertire l’agitazione