368 NOBILI E PLEBEI CONTRO I TEDESCHI Bonomo divenne procuratore generale del Comune. Pare che per un certo tempo il Pizzoli potesse mantenere il suo posto, anzi assumesse il titolo di locumtenens, luogotenente d’un capitano che non c’era più. Ma in breve fu spazzato anche lui e sostituito, come vicario del civile, da Bartolomeo d’Argenta. Per naturale conseguenza degli avvenimenti, il Consiglio maggiore fu riformato e, scelti dai Pregadi, vi furono aggiunti sessanta uomini della borghesia e della plebe, che avevano cooperato alla cacciata del Luogar. Il Consiglio rappresentò allora non più la casta dei nobili ascritti al Consiglio per diritto di nascita, ma la città intera, nei suoi vari strati. La ribellione acquistava così anche il carattere d’una rivoluzione sociale. Plebei furono eletti al vicedominato. I profughi e gli esuli ritornarono, e con essi Cristoforo de Cancellieri. Una leggenda d’amore nacque da questa rivoluzione, di cui s’era dimenticata l’origine, e si favoleggiò che l’odio dei partiti venisse dalle nozze contrastate di una fanciulla di casa Bonomo con Cattarin Burlo. Leggenda non rara nelle città italiane, dove, con quasi tutte le lotte delle fazioni, s’intrecciarono romanzi d’amore. Le cause della rivoluzione triestina furono ben diverse: essa nacque direttamente dalla guerra del 1463 e dalla politica anticomunale di Federico, che, nel 1468 o in queH’intorno, sopprimeva anche i privilegi di alcune grosse comunità austriache. Il moto triestino ebbe, di più, uno spiccato carattere italiano. Il già citato frammento di Cronaca scritto da Pietro Cancellieri, figlio di Cristoforo e già di Consiglio nel 1468, mette in antitesi di piena evidenza i Todeschi contro gli homini de Trieste: nella Cronaca è addirittura la comparsa dei Tedeschi che fa insorgere la città (Comparsi li Todeschi nella città tutto il popolo si levò a furor...). Quando la città ebbe cacciati i suoi nemici e si guardò attorno, si trovò sola. La parte vincente aveva guardato a Venezia: ma dovette accorgersi che s’era vanamente illusa. La Repubblica, tanto perché non voleva nuovi impicci a causa di Trieste, quanto perché non voleva inimicarsi Federico, si mantenne seccamente ostile. Aveva rifiutato ogni soccorso anche agli esuli di Pordenone, che le offrivano quella terra. A maggior titolo lo avrebbe rifiutato ai Triestini. Essi pensavano a San Marco troppo tardi e dopo troppi malanni.