240 LA CITTÀ SI OFFRE AL DUCA D’AUSTRIA L’azione sanguinosa durò finché l’interruppe la notte. Gli stipendiarli veneziani avevano invano tentato di mettere le scale: erano stati sempre ributtati. Nella notte uomini e donne lavorarono senza riposo per chiudere la breccia e riparare le mura. Non ascoltati dai signori che stavano in Italia, i Triestini, per un ultimo tentativo della loro disperazione, si offrirono al duca d’Austria Leopoldo. E questa volta furono ascoltati. Il Redusio, cronista trivi-giano, dice che l’Austriaco era avido di ottenere Trieste, specialmente perché produceva vini eccellenti, bona et grandia vina, coi quali i freddi Tedeschi si riscaldavano, Theotonici frigidi refocillantur. In realtà, poeti e cronisti tedeschi, che narrano le imprese di quel duca e d’altri, quando parlano della nostra terra ricordano come famosi vini il « rainfal », che è la ribolla dei Triestini, il « terant » (ferrano) e la malvasìa. Ma il duca Leopoldo pensava al possesso di Trieste, adocchiata già dal suo predecessore, per altri motivi: per ingrandire i suoi dominii in Italia, per completare il possesso della regione subalpina, dove solo il territorio triestino non era direttamente o indirettamente suo e per avere nelle sue mani il porto, dove sboccava parte del commercie del Cragno, di cui era signore. Il duca volle dai Triestini una dedizione completa; anzi, per avvalorare diplomaticamente e la dedizione e l’intervento a favore della città, volle che i Triestini riconoscessero di essere stati soggetti « a alcuni suoi progenitori », di dover quindi appartenere a lui per diritto ereditario; ammettessero dunque di aver commesso ai suoi danni «errore di ribellione », a cui allora riparavano. I messi, riusciti a passare le linee veneziane, portarono nella città mortalmente sofferente la nuova che il duca accettava e i patti che esigeva. Immantinente la città fu presa da un impeto di letizia: i cittadini corsero alle mura, alzarono le insegne biancorosse di Leopoldo, gridando lunghi e clamorosi evviva al duca d’Austria. I rettori non fecero obiezioni alle pretese di Leopoldo: il 31 agosto stipularono e mandarono al duca un atto di piena e totale dedizione, affermando il diritto ereditario e gli errori pretesamente commessi, dichiarando che riconoscevano lui e i suoi successori come l'eros naturales et hereditarios Do mino s in perpetuo e che lo autorizzavano a governarli come governava le sue città in Austria. Una condizione ponevano: che il duca non li vendesse, né li obbligasse, né li consegnasse ai Veneziani o a qualunque altro.