328 INFLUSSI VENEZIANI che erano stati cacciati dopo il 1382. La loro presenza sembrava dunque ancora minacciosa nella città, dove i molti negozi e i molti affari che tenevano i Veneziani ivi domiciliati erano spiragli da cui entravano influssi pericolosi. Le autorità vivevano gelosamente invigilando l’opera di questi influssi, che penetravano specialmente nello strato popolare. Dall’agosto al settembre 1420 scoppiarono fiere discordie fra i cittadini. Il magistrato de’ Dieci proibiva severamente di portar armi e faceva punire, nel settembre, un popolano, Marco Sassula, il quale andava dicendo « che tanto valeva il dominio veneto che quello arciducale di Ernesto ». Era nella frase un’ottima premessa per assopire diffidenze contro un’eventuale signoria veneziana. Certamente, se allora la Repubblica non fosse stata in relazioni di quasi alleanza coi duchi d’Austria, Trieste sarebbe caduta in suo dominio insieme a tutto quanto aveva appartenuto alla Chiesa aqui-leiese. Ma come quell’alleanza, imposta da un’inevitabile necessità, rese capaci gli Oltramontani di conservare tutta la fascia confinaria dell’Italia, l’alpina e la carsica, e di riacquistare il Goriziano già perduto, così li favorì nel preservamento del dominio di Trieste. La città, ancorché avesse deliberato mantenere l’indifferenza più severa, quando l’esercito veneziano attraversò i Carsi e passò in Istria, rese la neutralità benevola verso la Repubblica. I capitani e le truppe ebbero non poche agevolezze. La città diede una guida per i Carsi, mandò più volte ambasciatori all’Arcelli e a Taddeo d’Este, fece doni ai comandanti e spedì vino e vettovaglie. Nell’esercito veneziano, col marchese Taddeo d’Este, militava un condottiero triestino, detto Tartalia, che guidava cinquanta lance. Il Tartalia rimase lungamente in servizio di San Marco: v’era ancora dopo il 1449, stimato per il suo valore. Egli non era il solo Triestino agli stipendi di Venezia. Altri erano andati e in quel campo e nell’avverso, nonostante i bandi del Comune. Nel luglio del 1420 il Consiglio maggiore emanò un proclama severo contro quanti servivano negli eserciti in guerra: puniva con l’esiliò persino i genitori, che dentro un mese non avessero fatto ritornare i loro figli. Mentre così, inerte e ritratta nel breve cerchio delle sue mura, la città assisteva alla grande lotta che decideva le sorti della frontiera