106 del magistrato. Dicono eh’ egli ne parlasse all’ avoga-dore Querini, e che questi desideroso di acquistar fama con qualche azione memoranda, o già irritato dalla precedente deliberazione degl’ Inquisitori, e credendo forse opportuno il momento a dar principio alle sue ostilità contro di essi e contro il Consiglio de’ Dieci, abbracciò 1’ impegno d’ intromettere, cioè appellare dal decreto dei Dieci al Maggior Consiglio, sostenuto in ciò ed incoraggiato da molti altri cittadini, e cercando appoggiare il suo procedere alle leggi 1582 e 1705 dello stesso Maggior Consiglio. Altre collisioni ancora succedevano, la corruzione, le gelosie, le passioni private, le reciproche recriminazioni giuste od ingiuste si mostravano ovunque, porgevano motivo a partiti, a sospetti. Si accusavano special-mente il Querini e 1’ altro avogadore Alvise Zen come a-vessero in mira di far cadere la Repubblica sotto la podestà tribunizia, somigliando gli avogadori in certa guisa i Tribuni antichi della plebe di Roma (1), colla differenza che questi erano del popolo, e quelli delle leggi ; si rappresentava non esservi cosa più santa delle leggi e della potestà pubblica se sieno bene adoperate, ma potersi volgere anch’ esse a pessime conseguenze, esser necessarie altresì la prudenza e 1’ esperienza, doversi perciò eleggere avogadori uomini canuti e non giovani, versati nel maneggio delle scienze e degli affari politici, e non soltanto dotti nella facoltà legale e e nei giudizii forensi. Queste considerazioni tenevano in somma perplessità gl’ Inquisitori di Stato e li facevano irresoluti, perchè ravvisavano egual pericolo nel male come nel rimedio. (1) Franceschi. Storia della Correzione del Consiglio de’ Dieci 1761. Cod. DCCLXX'VI cl. VII ital. alla Marc.