II NELLA SCIAGURA Sulla plancia stavano il comandante Cacace, l’ufficiale di guardia Gamberini, l’ufficiale di rotta Degli Uberti ed altri. Il comandante, abile e rischioso manovratore, aveva fatto aumentare la velocità senza avvertirne l’ufficiale di rotta sicché Degli Uberti non credeva di aver già superato il fanale di Punta Pezzo dopo il quale avrebbe dovuto far accostare a destra, né poteva accorgersene anche perché proprio quel giorno la luminosità del fanale era quasi nulla e neppure di ciò era stato avvertito. Ritenne che il fanale di Punta Pezzo fosse quello che vedeva splendere più avanti, mentre si trattava del fanale di Capo Peloro, e mantenne la rotta per passargli al traverso prima di accostare. Ma con ciò il “San Giorgio” veniva condotta proprio contro la costa siciliana di Sant’Agata a più di quindici miglia di velocità. Con orrore alcuni isolani che erano su quella spiaggia scorsero nella notte la prua illuminata dell’incrociatore incombere improvvisa come un gigantesco aratro sulla riva, e urlarono. Nello stesso istante Cagni che passeggiava sul ponte ripensando ai bravi reggiani, trasalì intuendo per primo il mostruoso pericolo. Gridò pronto: «Vieni con tutta la barra! », ma era tardi. La nave, che lui stesso considerava nefasta per i casi disgraziati già successi a chi l’aveva comandata, strisciò sul fondale e, conficcata nella sabbia, stette inerte, sbandata a destra. Attimo di suprema angoscia che sommerse ogni gioia precedente; inizio stupefatto di una serie di giorni amari e bui durante i quali l’ammiraglio con tutti i suoi lavora-rano senza respiro al salvataggio, staccati dal mondo, come sospesi fra due tempi della loro vita, intanto che per tutta Italia i giornali si gettavano clamorosamente sulla nuova