291 gni del bastimento, essa si sparse e andò perduta. I marinai si videro quindi ridotti a piccola misura per ciascuno, e ad astenersi dalle carni salate per non aumentare la sete, privazioni di cui il capitano dava loro sempre primo 1’ e-sempio. Continuando il mare agitato, spezzato il timone sembrava inevitabile il naufragio, quando l’Emo con ardito pensiero, afferrato un tronco d’ albero che potè a grande stento strappare da una vicina costa, e digrossatolo, lo sostituì al timone, prese con quel rozzo fstrumento a dirigere la nave e la condusse felicemente in porto fra 1’ ammirazione e 1’ applauso universale. Compiuta eh’ ebbe felicemente la sua missione di Cadice, si occupò senza posa parte a correre i mari, parte a recare ad atto il suo disegno di miglioramenti n»l-1’ Arsenale, finché fu spedito a punire gli Algerini, dopo che inutili erano tornate le offerte di nuovo componimento con regali (1). Alle minaccie dell’ Emo, giunto con le sue squadre innanzi al loro porto, si umiliarono però a rinnovare la pace, restituendo i legni predati, mettendo in libertà gli schiavi, e pagando quattordici mila zecchini a risarcimento dei danni (2). (1) «Sul punto dei doni consolari a cui assente la pubblica auto-sità per ogni biennio, mi è stato di sensibile sollievo la Ducale pre-rente che vi assegna chiaramente per norma l’esempio delle altre nazioni. Non è per questo che io non sia per porre ogni studio nel renderne il peso possibilmente meno gravoso all’erario, e che non mi permetta almeno di ridurlo alla misura della nazione meno aggravata». Disp. Emo 1767. Si vede dunque quanto sieno senza fondamento i rimproveri che il Darù fa alla Repubblica a questo proposito. (2) « La veneta deve l’esito di tanto affare con nazione così elata ed inflessibile al peso del nome proprio, all’accidentale pericolo delle guarnigioni turche, alle misure di forza dall’Eccellentissimo Senato adottate, deducendone l’attività dall’aver veduto il loro corso estremamente coartato per quindici mesi da due fregate; la natione inquieta per l’attuale pericolo delle fregate, trepida del vicino bombardamento, i corsari convinti di esser esclusi dal corso gridando pace da ogni parte, hanno mosso finalmente l’impavido cuor dello stesso bassà ». Disp. 11 luglio 1768.