VI CON MUSSOLINI Però se le maestranze del porto, per imporre qualche loro rivendicazione coi vecchi metodi, scioperavano o tentavano di misconoscere l’autorità del Consorzio, l’ammiraglio si ergeva a ristabilire l’ordine senza alcun patteggiamento e puniva, ben deciso a vincere quell’ambiente refrattario alla disciplina. Allora riappariva l’uomo di comando, brusco, freddo e poco accessibile. A metà agosto falegnami, carpentieri e calafati in vertenza coi datori di lavoro avevano preteso trascurare il tramite del Consorzio, quasi ignorandone l’autorità. Cagni intervenne di scatto: escluse i capi del movimento dai ruoli consortili e, siccome le categorie risposero con uno sciopero, dichiarò addirittura soppressi i ruoli chiusi. In breve l’ordine fu ristabilito benché proprio in quel tempo infuriasse la bufera politica che segui all’affare Matteotti. Gli operai avevano istintivamente misurata la forza e la personalità dell’ammiraglio al quale capitò, camminando per via, di sentire un facchino che, rivolto a compagni di lavoro, cosi lo definiva: « Quelu Cagni u l’è un can, ma u l’è giusto ! » Nel momento politico critico si mantenne sereno, attivo, fiducioso nel Fascismo e nel suo capo. Il 4 ottobre Mussolini, parlando all’Associazione Costituzionale di Milano, accennò all’opera di Cagni: «Stamane da Roma mi si comunicava, e me lo comunicava l’ammiraglio Cagni, che il porto di Genova carica oggi duemila vagoni al giorno, settecento in più di quelli che ne caricava anteguerra ». La collaborazione era perfetta. A sua volta Cagni fece un accenno alla situazione politica interna in un discorso commemorativo della presa di Tripoli che i reduci di Libia vollero pronunciasse il 12 ottobre, a Torino. Facta era fra i presenti e perfino Giofitti aveva aderito. Dopo altri