anno 1505. 281 a rinunziarne il dominio, e che perciò noB eravi d’ uopo di arbitri in un affare sì chiaro. Poco appresso mandò anche Luigi XII un ambasciatore a Venezia, per esortare il senato a terminare cotesta differenza col papa, a fine di potersi poi unire in alleanza tutti assieme contro i turchi. Uguale risposta, come agli inviati dell’imperatore, diede il doge all’ ambasciatore francese, quanto alla restituzione di quelle piazze. Quanto poi ad altra dichiarazione di questo ; avere, cioè, il re di Francia conchiuso un trattalo di pace coll’imperatore Massimiliano a guarentigia e a difesa dei proprii siali ; gli rispose, che il senato godeva di questa pace conchiusa ; ma si maravigliava, che la si fosse concertata senza sua saputa, mentre il trattalo, che aveva il re colla repubblica, obbligava entrambi a non far pace o alleanza con chicchessia senza lo scambievole assenso di tutti e due. L’ ambasciatore soggiunse, che il re s' era riservato un indugio di quattro mesi, entro i quali avessero potuto i veneziani, a loro piacere, essere compresi nel trattato medesimo ; che il senato aggradisse questa attenzione del re, e ne facesse uso a suo arbitrio. Questa risposta tranquillizzò il senato e lo tenne in quella buona fede, in cui gli sleali collegati bramavano, che fosse rimasto, sino al momento di dover agire contro di esso. N’era bensì a cognizione il re di Spagna, e ne temeva pel suo regno di Napoli ; perciò ne diede avviso al senato ed anche gli esibì di unire insieme le sue truppe con quelle della repubblica per allontanare un pericolo, che ormai diventava comune. Ma il senato non volle credergli, non potendo persuadersi di così enorme slealtà in quei tre sovrani, che andavano macchinando 1’ estremo eccidio della repubblica di Venezia. Tuttavolta il senato per non mostrarsi troppo tenacemente ostinato nelle sue, benché ragionevoli deliberazioni, esibì di cedere la città di Rimini e le terre acquistale dopo la morte del papa Alessandro VI, a condizione che il papa Giulio II gli lasciasse libero ed assoluto il possesso di Faenza e del suo territorio. Ma il papa voii. vii. 36