anno 1493. 155 napoletana, ed ebbegli fatto intendere, che da lui solo dipendeva il concertar questa lega, a cui avrebbero aderito i veneziani tosto-chè avessero conosciuto con sicurezza le sue intenzioni; entrò il senato in comunicazione col papa intorno a questo argomento. Per verità, quando la proposizione fu portata in senato il doge parlò con molto calore per farla rigettare: ricordò quanto era accaduto pochi anni addietro sotto il papa Sisto IV. il quale, dopo di avere impegnato i veneziani a far la guerra contro il duca di Ferrara e dopo di avere altresì preso le armi in loro favore, li voleva costringere a far la pace a suo modo, e perchè non avevano voluto secondare le sue mire, s’ era collegato ai loro nemici ed in fine gli aveva scomunicati. Queste ed altre simili considerazioni circa lo stile e la politica della corte di Roma, quanto ai temporali interessi, espose il doge sapientemente nella piena adunanza dei senatori. E già la sua proposizione stava per accettarsi, rigettando la chiesta lega; quand’ ecco uno dei senatori contrappose a queste considerazioni un più solido interesse di stato ; d’impedire, cioè, che il re Ferdinando non scacciasse da Milano lo Sforza, e si rendesse padrone del giovine duca e ne disponesse a piacere. Ciò sarebbe riuscito di sommo pericolo allo stato veneziano, per la vicinanza di questo ai milanesi possedimenti. Questa riflessione vinse il partito del doge, e la lega fu sotto-scritta il dì 25 aprile 1493. In vigore di questa lega, il papa, la repubblica di Venezia e lo stato di Milano si garantivano a vicenda le loro provincie, e per venticinque anni s’ impegnavano ad una alleanza offensiva e difensiva. ■— « Se per avventura uno dei tre confederati fosse stato assalito da qual si fosse nemico, gli altri due dovevano unirsi a difenderlo. Il papa doveva somministrare una armata di tre mille fanti e quattro mille cavalli ; i veneziani e lo stalo milanese ne dovevano dare cinque mille di fanteria ed otto mille di cavalleria. Nessuno dei confederali poteva far alleanza con verun’ altra potenza d’Italia senza il sentimento di tutte le parti contraenti; era per altro concesso a qualunque principe italiano di