536 LIBRO XXVIII, CAPO LXXII. evitarla, e ricondusse perciò l’armala sua sollo a Padova. Il da Cardona, fraudalo ne’suoi progetti, condusse anch’ egli le sue truppe ai quartieri, parie nel veronese e parie nel Polesine. Quando fu assicurala la notizia di questo ritiro di truppe, i vicentini aprirono le porte della loro ciltà ai veneziani, i quali approfittarono della buona ventura per introdurvi grande quantità di operarii, acciocché, durante l'inverno, la fortificassero per guisa da potersi difendere, nell’ aprire della stagione, contro qualunque tentativo dei nemici. CAPO LXXII. Il papa Leone X ripiglia il maneggio per la pace. Le premure del pontefice, riuscite vane poco dianzi, per indurre i veneziani alla pace, ebbero nuovo stimolo dalle recenti vittorie del sultano Selim, il quale, sostenuto da tutte le forze militari del re di Persia, aveva soggiogato e vinto suo nipote Amurai; e nel medesimo tempo, egli mandava suo figlio Solimano con poderosissimo esercito a minacciare le frontiere dell’Ungheria. La necessità di formare una lega, per contrapporre vigorosa resistenza al feroce mussulmano ed allontanare dalla cristianilà i mali gravissimi, che minacciavanla, fece conoscere a Leone X, non potersi ciò conseguire, senz’avere in aiuto la repubblica di Venezia. Conosceva d’altronde, che questa, in rotta coll’ imperatore e col re di Napoli, non sarebbe entrata giammai a formar parte della lega. Era d’ uopo quindi riconciliarla prima coi suoi nemici, per averla poscia amica e confederata a cooperare con essi al comun bene della cristianità. Mandò a Venezia adunque, per trattare quest’ argomento delicatissimo, il suo secretario Pietro Bembo, nobile veneziano, che fu dipoi cardinale, e scrittore valente. Pietro Bembo, nella prima udienza, eh’ebbe, espose con una lunghissima orazione (I), «—che («) E «el tomo III delle sue opere.