320 LIBRO XXVIII, CAPO V. slesso distesamente, se non i documenti originali, che noi possiamo conlrapporre a tante sue favolose ridicolezze, almeno i principali autori, che servono a fondamento dell’opera sua, e principalmente il Sancii, senza il quale non è possibile il farsi una precisa idea dell’origine, dei progressi, delle forme e dei modi delle politiche islituzioni ili quel governo; è certo, ch’egli non sarebbe caduto in quei tanti strabalzi, a cui lo condussero una mal regolata critica, ed una maravigliosa ignoranza delle materie, su cui scriveva. Qui pertanto mi limilo a far osservare, che gl’ inquisitori di stato non si sono mai ingeriti, nè mai ebbero facoltà d’ ingerirsi nelle relazioni diplomatiche e nell’ esteriore governo della repubblica. Ed aggiungo, che, seppur qualche volta gli ambasciatori veneziani presso le corti estere avevano occasione di scrivere ad altre delle primarie magistrature, oltreché al senato, scrivevano al Consiglio dei Dieci, e non mai agl’inquisitori di stato, i quali dipendevano in tulio e per lutto da questo. CAPO V. Discussioni del senato circa la determinazione da prendersi. Giulio II, che pur avrebbe desideralo di riconciliarsi colla repubblica di Venezia, conoscendo di averne tentalo indarno l’ambasciatore Pisani, portò i suoi pensieri sopra 1’ altro ambasciatore Giovanni Badoaro, e fece intendere a lui nuovi progetti, acciocché se ne interessasse di proposito presso il senato. Nè fu tardo già il Badoaro a scrivere a Venezia, dando un esalto conio di quanto il papa gli aveva fatto proporre. Egli primieramente facevagli rappresentare il pericolo, a cui esponevasi la repubblica, se il trattalo della lega fosse stalo da lui ratificato, e se tutte le potenze, che dovevano entrarvi, si fossero messe una volta in campagna per eseguirlo. Lo fece assicurare, eh’ egli non lo ratificherebbe, se gli fossero restituite le città di Rimini e di Faenza; e che se non 1’ avess’ egli