252 Colpi di testa a Vittorio Emanuele II, Cagni sfilò per le vie di Roma coi suoi bianchi cannonieri molto applauditi da quel popolo che egli aveva conosciuto per la prima volta da adolescente allievo di marina, marciando nel corteo funebre del Padre della Patria. Dopo trentatré anni era ancora là, pronto all’azione agognata sul mare, mentre a Trieste il principe ereditario d’Absburgo, Francesco Ferdinando, presenziava al varo della dreadnought austriaca “Viribus Unitis”. Già l’Europa appariva divisa in due coalizioni contrapposte; una crisi immane era in gestazione, presentita dalle coscienze più sensibili e vive. In agosto accadde un grave incidente all’incrociatore “San Giorgio” che incagliò sulla secca della Gaiola presso Marechiaro a causa dello spostamento di una boa di segnalazione. Il comandante dell’incrociatore, Albenga, fu sbarcato e sostituito dal collega Cutinelli Rendina. La “ Sicilia” ricevette l’ordine di accorrere per cooperare al salvataggio insieme ad altre unità sotto la direzione personale di Leonardi Cattolica. Il tenente generale Vaisecchi del genio navale fu preposto alle operazioni tecniche mentre Cagni e Cutinelli dovevano coadiuvare per la parte marinaresca e militare in sottordine alle alte autorità presenti. Ma dal momento in cui Cagni si trovò impegnato nella nuova impresa andò subito oltre i limiti di competenza e di grado, anzi tanto oltre che fini per assumere pratica-mente il ruolo principale nella difficile manovra, con vedute personali e atteggiamenti polemici imperiosi. L’impresa si presentava ardua perché l’incrociatore era incagliato per più di trentacinque metri e sbandato di sei gradi. L’acqua, penetrata attraverso ampie falle della carena, aveva allagati due locali delle caldaie, il deposito munizioni ed altre camere. Di fronte alle varie difficoltà qualcuno propose perfino di demolire la nave, ma si fini per tentare il salvataggio impiegando a turno di giorno e di notte fino a mille marinai e cinquecento operai. Il comando superiore si insediò sulla “Dandolo” mentre attorno al “San Giorgio” erano ancorate la “Sicilia”, la “Re Umberto”, la “Sardegna” e la nave officina “Vulcano”. Ai mezzi di bordo si aggiunsero strumenti portati