328 « L’ ASSEDIO DI PLEWNA » quasi nenie, che ricordano le gesta degli eroi serbi, le vittorie riportate contro i turchi. Il ban- chetto finisce sempre con una canzone patriottica cantata con mesta solennità. Sembra anzi che, per 1’ appunto in mezzo al tripudio, il montene- grino senta più che altrove il dovere di non di- menticare le aspirazioni della patria serba, che abbia quasi un rimorso di divertirsi, quando la patria sua non è ancora grande come egli la va- gheggia; e allora d’improvviso cessano le note allegre di un valtzer, e dalla conversazione gaia ed animata egli passa ad un contegno di mesto raccoglimento, ascoltando i patriottici canti. Così, finita in quella sera a Corte la quadriglia, a piè della scala che mette alla sala da ballo una piccola orchestra intuonò una vecchia canzone serba: « Il poveretto giace ferito — Dopo aver combattuto valorosamente contro il turco —Ve- dendolo presso a morte, la sua donna gli domanda: — A chi dovrà darsi la tua spada e il tuo cavallo ? — Darai tutto al nostro capo che è più valoroso di me — Non potrebbero cadere in più nobili mani... » I Principi e le Principesse silenziose segui- vano la mesta cantilena, e tutti quanti stavano lì sull’attenti, in atteggiamento di rispetto, come se avessero dinanzi l’immagine della patria. Dopo altre danze, il Principe prese sotto braccio, discorrendo, il ministro di Turchia