Ultima Thule 169 compagni, che, dopo le notizie della nostra prima marcia, devono aver perduta la speranza che noi si riuscisse a far qualcosa. Si propone di preparare un grosso cartellone con un pezzo della tenda e scriverci sopra 86° 30’ perché essi lo vedano da lontano quando noi arriviamo. Si parla delle case nostre, del ritorno in patria. Oh, come ci sorride l’avvenire! Usciamo all’aperto. Il termometro segna -350, ma non pertanto vedo per la prima volta le guide passeggiare in su ed in giù dopo la zuppa. Esse parlano del paese. Della loro Courmayeur i cui prati a quest’ora ricompaiono verdeggianti dopo il lungo riposo sotto il bianco manto invernale. Restiamo tutti fuori lungamente con l’animo rapito per la grande felicità. Siamo al termine di tutte le nostre fatiche; ormai il ritorno ci pare una passeggiata, e lo sguardo non si rivolge più avidamente al settentrione ma al mezzogiorno ove, al di là di un mare freddo e delle dirupate montagne scandinave, al di là ancora ci attendono i nostri cari ». La gioia ineffabile per la vittoria, l’orgoglio per la conquista strappata all’ignoto oltre i luoghi dove tanti precursori erano periti, oltre il punto di Nansen, là dove la stella polare è quasi allo zenit, illusero anche il capo prudente che le maggiori pene fossero finite. Lasciarono sulla neve del luogo una cartolina entro tubetti di latta con l’annotazione dei dati della marcia compiuta e delle condizioni in cui si avviavano al ritorno: trenta giorni di viveri comuni, duecento razioni di “pemmican”, quattro slitte e trentaquattro cani con trecento razioni per gli animali; e sul mezzogiorno del 25 aprile mossero verso sud. Le slitte di tanto alleggerite consentirono agli uomini di montarvi sopra per farsi trasportare dai cani sulla rigida pista lungo le tracce della marcia precedente. Tuttavia all’ebbrezza del successo subentrò presto il collasso nervoso per la tensione sostenuta. Cagni tentò di curare un debilitante mal di ventre che lo sfiniva, mentre il suo indice gelato e maltrattato gli pulsava facendo dolorare il braccio fin sotto l’ascella. La prima tappa del ritorno fu di quarantacinque chilometri, ed altre ancora ne seguirono lunghissime.