anno IH98. 193 filo, che avesse potuto giustificamelo. Si cercò di estinguere il fuoco della discordia, che teneva accesa la guerra tra i fiorentini e i pisani; acciocché la difesa di quelli non fosse più la cagione, che lo avesse a ricondurre in Italia. Perciò Lodovico Sforza spedì a Venezia un ambasciatore ad esortare il senato a sospendere la sua protezione ai pisani, od almeno a conservarla loro pel solo fine di cooperare ad un sollecito accomodamento coi fiorentini. Ned era già Io spirito di pace, che inducesse lo Sforza a queste istanze ; era perché non poteva liberarsi dal suo primitivo sospetto, che i veneziani proteggessero così largamente i pisani collo scopo di assoggettarseli. Altrettanto perciò andava egli sollecitando per mezzo de’suoi ambasciatori alla corte di Roma, d’accordo cogli ambasciatori del re di Napoli e di quello di Spagna. Dalle quali sollecitazioni guadagnato 1' animo del pontefice Alessandro VI, ne aveva fatto parola più volte la santità sua, in occasione di varie udienze, a Marco Lippamano ambasciatore della repubblica, ed avevaio vivamente esortato ad indurre colle sue relazioni il senato a far cessare le discordie tra Pisa e Firenze, acciocché si potesse quindi formare una lega generale e porre l’Italia tutta al sicuro dal pericolo dell’ imminente giogo straniero. A queste sollecitazioni non poteva piegarsi il senato, perciocché sapeva, che tutto il consiglio di Firenze era dedito al re di Francia. Considerava a buon diritto, come una fallace politica, 1’ abbandonare la città e lo stato di Pisa ad uomini, che avrebbero potuto trarne vantaggio per servire più efficacemente al comune nemico. Rispose quindi a tutte queste istanze, che da ogni lato gli venivano fatte, «—che non poteva ritirare la sua protezione, senza tradire la fede data ai pisani; ch’era somma ingiustizia il togliere i soccorsi ad una città, in cui erasi convenuto concordemente di conservare intatta la libertà ; che se gli alleati avevano cangiato pensiero, i veneziani volevano in ogni stato di cose mostrarsi costanti a vantaggio dei loro amici ; che la dignità della repubblica non permetteva di desistere da un’ impresa incominciata e vol. vii. 25