olii LIIÌRO XXVIII, CAPO LXII. ricoverare le (ruppe, e contentarsi di un lavoro assai lento c sempre esposto agl’ insulti e alle scorrerie della guarnigione. Piantarono, benché con somma fatica, una prima parallela, ma ne dovettero ben tosto abbandonare l’impresa, per le molestie continue dei nemici, i quali ne investivano i lavoratori, gli uccidevano, oppure li disperdevano. Gli assediali mandavano fuori ogni giorno grosse squadre di cavalleria, da cui erano lolti all’ esercito assediante le vettovaglie, oppure se ne arrestavano i convogli, o n’erano abbruciati i magazzini. I soldati e tedeschi e spagnuoli mormoravano contro i loro capitani e principalmente contro il vescovo cardinale di Gurck, cui palesemente accusavano di volerli sacrificare all’ ambizione sua di volere farsi merito presso il suo padrone. Nè a torto se ne lagnavano : erano eglino oppressi da fatiche e da malattie, morivano di fame, erano loro ritardate le paghe. Dalle lagnanze passarono alle minaccie: in fine, fu d’uopo levare 1’ assedio, che indarno da venti giorni s’era intrapreso. Per rifarsi di questo tempo inutilmente perduto, il viceré di Napoli si diede a devastare il territorio della repubblica, mettendo a ruba e a fuoco tutte le terre e i castelli sino a Mestre, a Mar-ghera, a Lizza-Fusina, e lasciando all’ arbitrio delle sfrenate milizie lo sfogo di ogni più orrenda brutalità. Narra taluno, che il napoletano devastatore piantasse altresì dieci grossi pezzi di artiglierie in sulla riva delle lagune, e tirasse inutili colpi contro Venezia, alcuni dei quali arrivassero quasi all’ isola di san Secondo. E poi frivola 1’ osservanza del Darù, che dalla piazza di san Marco si udiva il cannone nemico: gran maraviglia sarebbe stata piuttosto, clic alla distanza di tre o quattro miglia, che v’ erano tra quelle batterie e la piazza di san Marco, non lo si fosse udito. Ned era poi cosa portentosa, che in così poca distanza si vedessero i villaggi in fiamme.