ANNO 1496. 181 » la sicurezza all’ esercito e la vera pace all’ Italia. Vostro sarà » allora il ducalo di Milano, vostro il destino o della pace o della » guerra; e rimarranno per questa via vendicate le pubbliche offe-» se, la violata fede dei solenni trattati, le lagrime ancora di tutta » insieme l’Italia. » Contarini era uomo forte e risoluto, nè gli mancava 1’ animo a mantenere ciò che prometteva. Stupì ognuno al discorso di lui ; ognuno n’esaltò l’intrepido valore: ma i provveditori deliberarono non doversi compiere un attentato di tal natura, senza che se ne desse notizia al senato, e se ne ricevesse un ordine decisivo. Perciò scrissero in cifra al Consiglio dei Dieci, ed ebbero in risposta, che la repubblica non usò giammai di arrivare a’ suoi fini per mezzo del tradimento e dell’assassinio ; che il delitto proposto era contrario al decoro e alla dignità di lei; che il senato perciò comandava espressamente di astenersene. Fu bensì intimato allo Sforza, in tuono risoluto e severo, di dover lasciare libero il passaggio alle truppe veneziane, che volevano uscire dal territorio di lui. Della quale intimazione sgomentato il duca, e ponendo mente altresì ai pericoli, che avrebbero potuto derivargli dalla sua vergognosa intrapresa, si contentò di avere ricuperalo Novara, e senz’ altra opposizione lasciò libera la partenza alle truppe veneziane, le quali con buon ordine s’accamparono sul territorio di Crema. Di là tre mila cavalli, condotti dal Gonzaga, passarono nel regno di Napoli ed occuparono le tre primarie città della Puglia. Il resto dell’ armata andò ai quartieri d’inverno: i provveditori ritornarono a Venezia. Così ebbe fine la guerra, in cui la repubblica fu costretta ad impicciarsi contro Car- lo Vili di Francia, spintavi dai raggiri e dalle mene insidiose di Lodovico Sforza.