anno 1509. 391 petti e con le braccia nostre. Perchè,se orano» si sostiene quella città, non rimane a noi più luogo di affaticarci per noi medesimi; non di dimostrare la nostra virtù, non di spendere per la salute nostra le nostre ricchezze. Però, mentre che ancora non è passato il tempo di ajutare la nostra patria, non dobbiamo lasciare indietro opera o sforzo alcuno, nè aspettare di rimanere in preda di chi desidera di saccheggiare le nostre facoltà, di bere con somma crudeltà il nostro sangue. Non contiene la conservazione della patria solamente il pubblico bene, ma nella salute della repubblica si tratta insieme il bene e la salute di tutti i privali, congiunta in modo con essa, che non può stare questa senza quella; perchè cadendo la repubblica e andando in servitù, chi non sa che le sostanze, 1’ onore e la vita dei privati rimangono in preda dellJavarizia, della libidine e della crudeltà degli inimici? Ma quando bene nella difesa della repubblica non si trattasse altro che la conservazione della patria, non è premio degno dei suoi generosi cittadini, pieno di gloria e di splendore nel mondo e meritevole appresso a Dio ? Perchè è sentenza insino dei Gentili, essere nel cielo determinalo un luogo particolare, il quale felicemente godano in perpetuo tutti coloro che avranno aiutato, conservato e accresciuto la patria loro (1). E quale patria è giammai stala che meriti di essere più ajulata e conservata dai figliuoli che questa? La quale ottiene e ha ottenuto per molti secoli il principato tra tutte le città del mondo, e dalla quale i suoi cittadini ricevono grandissime ed innumerabili comodità, utilità ed onore; ammirabile, se si considerano o le doli ricevute dalla natura, o le cose che dimostrano la grandezza quasi perpetua della prospera fortuna, o quelle per le quali apparisce la virtù e la nobiltà degli animi degli abitatori. Perchè è stupendissimo il silo suo, posta unica nel mondo tra le acque salse, e (i) «Omnibus, qui patriara conserva- » sempiterno fruantur. n Cic. de Hep., nnt, adjuvermt,auxerint, cerlum esse in lib. VI. coelo ac definilura Jocum, ubi beati aevo