anno 1573. 173 Questa lettera fece grande impressione nei senatori: lullavolta non era unanime il loro sentimento; sebbene nel maggior numero di essi le conseguenze funeste di una guerra, che consumava l’erario e distruggeva il commercio nazionale, facessero considerare la pace siccome il solo bene, da cui nelle attuali circostanze si potesse sperare salute. Molli d’altronde riputavano disonorante villa il cedere si facilmente ad un nemico vinto, e il rinunziare sì presio alla speranza di vincere nuovamente. CAPO XLV. Parole del doge per persuadere alla pace. In mezzo a queste perplessità, il doge Alvise Mocenigo, il quale aveva esortato per 1’ addietro ad intraprendere la guerra ; considerando al presente mutate le circostanze, era fermo nella sua mente doversi oggimai preferire la pace. Del che volle rendere principale stromento il Consiglio dei Dieci, su cui poteva calcolar meglio, che non sulle ambiguità del senato. Perciò, radunati un giorno i decemviri, così loro parlò (1) : • Quando da principio si deliberò di prendere 1' armi per la » nostra difesa et d’ accettare con pronto et generoso animo la » guerra intimataci da Seiino, non fu, credo, pensiero in alcuno » di perpetuare o continuare troppo lungamente in essa; ma ben » di far prova della fortuna et della virtù della repubblica, della • volontà et delle forze de'prencipi christiani, per procurar allo * stato nostro et a tutta la chrislianità qualche sicurtà maggiore » conira la potenza dell’ insolente nemico commune : et certa » cosa è, che la guerra è ordinata alla pace et il fine depravagli » et de’ pericoli deve essere la quiete et la sicurtà. Hora quale hab-» bia ad essere la conditione nostra, continuando più lungamente (i) Paruta, Hist. della guer. di Cip., lib. 111.