268 XII. Teatro della Fenice. — Il Mosè del Rossini. Ed io usciva martedì sera del teatro della Fenice tutto ravvolto, per certi riguardi di salute, nel mantello da pioggia, ed una gentile persona mi si accosta pel buio, tanto che n’ ebbi in sulle prime un po’non dirò di paura, ma sì di sorpresa, e ricambiati i soliti convenevoli si appiccò fra noi sotto alle grondaie il seguente importante colloquio. U Incognito. Scusi, non s’arrestano veramente di notte i galantuomini per via; ma è cosa che preme. Ella è se non m’inganno il compilatore del Vaglio? Compilatore. Quel desso per servirla; ma, con sua licenza, piove. Se ha qualche comando pel Vaglio, si rivolga al direttore, il sig. Francesco ..... Inc. No no; non cerco del sig. Francesco, ho d’ uopo di lei, del Vagliatore, di colui che vaglia gli articoli del teatro; m’immagino che persabato ell’apparecchierà un articolo d’apoteosi per lo spettacolo di questa sera e ne metterà in cielo i virtuosi. Coni. Diamine! Questo Mose è dunque a lei piaciuto tanto?