il peggio luogo è il suo; si trova sempre un grasso, un dormente, che l’opprime, lo schiaccia del suo peso; un paio di spalle giganti, che gli vietano, gli confiscan sugli occhi la scena. Il signor Felice ama la quiete, il silenzio, le pacifiche a-bitazioni, ed ecco che la riva della sua casa è fatta la posta, il traghetto di tutti i battellieri della contrada. Persone benemerite, mosse da patria e cristiana carità istituirono di contro alle sue finestre un paio di scuole infantili: bellissime istituzioni, dove i figliuoli s’allevano nel santo timor di Dio, nell’osservanza dei proprii doveri, e due volte al giorno si esercitano a cantar in coro le loro orazioni. Il signor Felice esce di casa, avrà fretta, e la prima persona che incontra è il sordo don Marzio, che l’onora della sua stima e amicizia, ma che ha la gotta a’piedi e muovesi a stento. D. Marzio l’arresta, lo bacia in fronte e gli chiede notizie dei teatri, della salute, gli fa osservazioni meteorologiche. Mio Diol don Marzio, ho fretta, ho premura. — E don Marzio sorridendo di compiacenza, nell’espansione della sua simpatia, lo afferra per gli ucchielli dell’abito, e chiede ancora un momento per terminar il discorso a cui l’altro, bruciandosi, non ha ancora prestato orecchio. A fuggire la noia, in difetto di miglior pas-