294 LIBRO XXXIV, CAPO XIX. » Venezia, appassionato più degli altri, osò dire al doge in pieno » collegio, che tutte le opere di pietà non potevano essere meri-» torie a quelli che non avevano zelo per la libertà ecclesia-» stica, ecc. » Da un papa, animato da tali sentimenti ed assistito da ministri di simil tempra, non poteva la repubblica aspettarsi che motivi di controversie, circa le stesse discipline interne dello stato, sì per leggi, che avess’ ella potuto stabilire al presente, come per leggi sanzionate già dalla consuetudine di più secoli, purché o queste o quelle avessero avuto un qualsifosse rapporto ancorché remotissimo, con qualche punto di ecclesiastica giurisdizione. Narrasi, che, mentr’ era ancor cardinale, esternasse i suoi pensieri coll’ ambasciatore straordinario della repubblica, Leonardo Donato, e gli dicesse, che s’egli fosse papa e i veneziani gli dessero qualche momento di scontentezza, non consumerebbe già il tempo in avvertimenti o in negoziati, ma di corto fulminerebbe l’interdetto. Ed io, rispose 1’ ambasciatore, se fossi doge mi riderei del vostro interdetto. Ed entrambi si trovarono adesso al punto di mantener la parola. Come incominciasse, progredisse, terminasse Taf-fare, lo vedremo nel seguente libro.