418 LIBRO XXXVI, CAPO V. tempo, che n’ era padrona la repubblica ; ed essere comparsa in mezzo questa pretesa soltanto sotto Clemente Vili e sotto il suo successore Paolo Y. Fatta la quale esposizione, si ferma per lo contrario a dimostrare similmente coi falli, che più volle ed in più occasioni i pontefici riconobbero la sovranità della repubblica su quella cillà; massime avvenendo loro di far parola di giurisdizioni spirituali dei vescovi compresi negli stati della signoria veneziana, tra cui commemoravano anche quello di Ceneda. Dal complesso di queste e di molte altre ragioni egli estrae come altrettanti assiomi, a confermamento del contrastato titolo di sovranità della repubblica : — « titolo riconosciuto per continuati tempi dai cenedesi e dal vescovo, egualmente che dagl’ imperatori, a cui altre volte aveva appartenuto, e persino da qualche pontefice: — titolo, eh’ella esercitò, custodindo il castello nella sede vacante de’ vescovi feudatari!, mandando talora pretori, come fece nelle insorgenze del vescovo Marino Grimani nel 1545 ; esigendo contribuzioni dagli abitanti in tempo di guerra ; chiamandoli a concorrere all’ escavazione de’ fiumi ; provvedendoli di sali; definindo le controversie insorte tra i ciltadini e i vescovi ; prosperando le loro fortune ; dilatando T autorità dei vescovi medesimi. E di luttociò parlano i pubblici monumenti negli archivi della repubblica. » Ma, procedendo più innanzi, va numerando il Sarpi le varie ordinazioni ed i molti regolamenti del senato circa la politica amministrazione dei cenedesi, in proposito del suo diritto di sovranità, e principalmente commemora la legge del 1595, per la quale, sulla norma delle antiche consuetudini, e furono stabiliti pei cene-desi i giudici, a cui appellare nelle cause civili, e ne fu decretata la ricognizione delle cause criminali presso i magistrati di Venezia. Questo è il sunto della scrittura del Sarpi, per la quale il senato sempre più stette fermo noi sostenere i proprii diritti. Non mi è noto, che la corte di Roma scrivesse veruna risposta : di certo si sa bensì, che tra la repubblica e il papa rimasero le cose