M2 LIBRO XXXVI, CAPO V. benché negli anni primi si tenesse entro i limili di una prudente moderazione; pure si mutò di poi; ed anziché adoperarsi per estinguere affatto i passali dissidii, rinnovò tulle le antiche pretensioni, e persino giunse a proibire ai cenedesi sotto pena di scomunica, qualunque ricorso, nelle scambievoli loro liti o negli affari di pubblica amministrazione, alle veneziane magistrature. Appoggiava il suo decreto ad un recente breve ottenuto da Roma. Nè contento di tutto questo, passò a riformare lo statuto civico, escludendovi tutti i decreti della repubblica, emanati nel 1S9S e nel 1600, circa le appellazioni dei cenedesi ai tribunali di Venezia : anzi v’ introdusse un vecchio decreto del suo predecessore Giovanni Grimani, il quale, nel IMI, vietava, sotto gravissime pene, qualunque ricorso, tanto in prima istanza, quanto in appellazione, a qual si fosse altro giudice, fuorché ai tribunali ecclesiastici : ed inoltre vi dichiarò, quasi incontrastabile verità, avere il vescovo di Ceneda concesso ai procuratori della repubblica di Venezia T investitura delle terre già da prima date in feudo ai Caminesi, cosicché essa repubblica non era che feudataria del vescovo: e fìnalmenle fissò, come lega statutaria, la celebrazione delle feste del palazzo apostolico, per voler indicare, che Ceneda dipendeva unicamente dalla sovranità di Roma. CAPO V. N’ è consultalo fra Paolo Sarpi. Era ben naturale, che a tutte queste novità il senato non sarebbe rimasto indifferente. Egli per procedere con quella circospezione ed assennatezza, che l’argomento esigeva, volle intendere il parere del suo teologo. Perciò ne raccomandò al Sarpi l’esame. Egli con una scrittura, che fu stampala, benché con poca fedeltà ed esattezza, nel tom. VI delle sue opere, e che su malerie di questo genere è uno dei più eruditi lavori della sua mente,