404 LIBRO XXXIII, CAPO XXXIV. puzzo. Ma io mezzo a lauti disastri, il peggiore e il più grave, contro cui nulla può l’umana costanza, era la totale mancanza di viveri. Durava già da un anno l'assedio, e quell’ intrepido presidio, oltrecchè aveva consumalo tulle le munizioni, non aveva più nulla da rodere: non più cavalli, non asini, non cani: il vino difettava già da lungo tempo, e mancava anche 1’ aceto per correggere l’insalubrità dell'acqua. Infierivano le infermità a più grave desolamento di questo ormai troppo scarso numero di prodi, tulli coperti di gloriose cicatrici, ned eravi più modo di ricorrere a medicinali soccorsi. Perciò questi generosi, che sino a quel giorno avevano sopportato fatiche e pericoli inenarrabili, disperarono a un trailo della loro salute. Deputarono perciò al Bragadino ed agli altri generali chi loro esponesse, che dove non eravi più nè speranza di ajuto nè modo di prolungare la difesa, non poteva essere vergogna il venire ad una capitolazione, che salvasse la cillà dal-l’ultimo eccidio. Si tenne su di ciò consiglio di guerra. Alcuni proponevano di aprire le porte, piombare sui turchi ed aprirsi una via colla spada alla mano. Ma per dove? altri soggiungevano. Siamo in un’isola; e come combattere in campagna aperta un nemico, che con si enorme fatica si è potuto sino ad ora appena respingere dai luoghi fortificati ? Si reputò pertanto cotesto un disperato consiglio, che non avrebbe fruttato verun vantaggio. Si abbracciò quindi il partito di venire a trattato. CAPO XXXIV. Famagosla capitola : perfida slealtà dei turchi. Il primo giorno di agosto i cristiani inalberarono bandiere bianche. Due commissarii turchi, 1’ indomani, entrarono in Fa-magosta, uno per parie di Mustafa pascià, ed uno per I’ aghà dei giannizzeri, accompagnali da sei soli giannizzeri a piedi. Viceversa