360 LIBRO XXXV, CAPO XVI. Ritornò a Venezia 1’ ambasciatore residente in Roma : vi rimase il solo secretano di ambasciata, che il senato raccomandò ai due cardinali veneti di Vicenza e di Verona. Di qua ebbe principio una infinità di libercoli stampati or a favore or contro della repubblica di Venezia; e dove mancavano ragioni vi soltentravano gli scherzi, le derisioni, le satire mordaci, cosicché Venezia e la repubblica vi furono pessundale dall’una parie; Roma, il papa e i cardinali dall’altra (1). Generalmente il clero veneziano stava a favore della repubblica, e perciò in Venezia non furono mai interrotte le sacre uflì-zialure. Bensì il clero regolare, perciocché dipendeva dai rispettivi generali residenti in Roma, cercava di sottrarsene. La partenza dei gesuiti avrebbe somministrato anche ad altri ordini religiosi il ripiego di salvare 1’ onore di Roma col partire da Venezia e dallo stalo: ma indarno si accinsero a tentarlo, perché il governo teneva gli occhi aperti e sapeva i passi che progettavano, e ne conosceva quasi i pensieri. Infatti, trovo nei pubblici registri, che il dì 11 maggio fu intimalo ai cappuccini ed ai cherici regolari teatini di non partire da Venezia, né chiudere le loro chiese, nè interrompere le pubbliche uffizialure, sotto pena della vita. Ed in quel giorno medesimo, simile intimazione si ordinò di fare al vescovo di Brescia, perciocché i canonici della cattedrale volevano tralasciare le sacre uffizialure : anche a quelli fu comandato di continuarle, sotto pena della vita e della confìscazione dei beni. E simili intimazioni furono fatte più lardi anche ai canonici di Bergamo e di Verona. Ai cappuccini per altro ed ai teatini, perciocché insistevano, pressati dai loro superiori di Roma, per la partenza dagli stati veneziani, fu concesso al fine che se ne andassero; ed altrettanto fu stabilito anche verso i frali riformati, nel caso che avessero voluto similmente partire. Ma d’ altronde (i) L’intiera raccolta di questi scritti conservasi nella biblioteca inarciana in cin-quanlaqualtro volumi, ciascuno dei quali contiene dicci e più opuscoli.