40 LIBRO XHX, CAPO V. Si presentò loro il comandante veneziano, che fu da quello acremente rampognalo di viltà, per avere condisceso all’ occupazione, che ne avevano fatto gli austriaci. Né guari dopo arrivò il generale in capo Buonaparte, minacciando stragi e rovine agli stati della repubblica, cui incolpava di maliziosa parzialità verso gli austriaci nell' averli lasciati entrare in Peschiera. Buonaparte ; obbliando il rispetto dovuto al rappresentante di una repubblica amica, il quale recavasi ad incontrarlo, ed era tanto più rispettabile quanto meno potente ; abusando della sua superiorità in confronto di un uomo inerme, carico d’anni e straniero agli urti di un aperto digladia-mento ; ebbe la bassezza di svillaneggiarlo e di farlo reo in un col senato di non avere impedito agli austriaci la momentanea occupazione di quella piazza nella loro ritirata. Quindi prorompendo in più feroci querele, schernivasi della buona fede della repubblica e della sua soverchia lealtà, mentre avrebbe potuto presidiarla con due migliaia di uomini, perché non fosse occupata nè dai francesi nè dagli austriaci. E conchiudeva dichiarando di voler riguardare quella piazza siccome sua, giacché 1’ aveva tolta ai nemici col sacrifizio di mille cinquecento suoi compagni d’arme, il di cui sangue gridava vendetta. Nè di ciò pago, trasse fuori, siccome grave delitto, 1’ ospitale ricovero conceduto al conte di Provenza, e, conchiudendo le sue disordinate invettive col proclamare, che aspettava dal Direttorio l’ordine di dichiarare la guerra al senato, minacciava di voler dar alle fiamme e Verona e Venezia, e ridurre quanti mai vi erano veneziani all’ estremo abisso della miseria. Ai quali rimbrotti era ben chiara la risposta, che se la neutralità era stata violata dai primi, non lo era di meno da lui, che con tanta baldanza si lagnava di quelli. Ma 1’ ora delle violenze era scoccata, nè più la repubblica si trovava in istato d’impedirle. Avvisato dell ingresso in Peschiera e della orgogliosa arroganza del comandante in capo dell’ esercito francese, il provveditore generale cercò di placarne lo sdegno, col mandargli per mezzo del tenente colonnello Giacomo Giusti uno scritto, in nome della repubblica