382 LIBRO XXIV, CAPO XXXI. mancalo dal canto suo di far soccombere la piazza ai primi assalii dei lurcbi ; ch’egli aveva ingannato il senato, scrivendogli che i migliori soldati erano stati uccisi, e che non v’erano più nè munizioni, nè viveri, mentre invece le forze della guarnigione non erano punto indebolite e i magazzini avevano viveri e munizioni per altri due anni. Per tale accusa data al da Lezze, il consiglio dei dieci ne comandò subito 1’ arresto, lo processò, lo spogliò degli onori testé conseguili, lo multò di più migliaja di ducati, e lo condannò ad un anno di prigione, compiuto il quale, ad un esilio di dieci anni in Capo d’Istria, e finalmente ad essere escluso per sempre dall’esercizio di qualunque magistratura e da qualunque Consiglio. Si pensò poscia al provvedimento degli esuli abitatori di Scutari. Furono veramente paterne le cure, che ne prese il governo. Era stato infatti deciso, che si mandassero nell’ isola di Cipro e che là si assegnassero delle terre pel loro sostentamento : ma eglino supplicarono il senato, che ne cangiasse la destinazione, per non esporli alle intemperie di quel clima. Perciò fu invece risolto, che i cittadini rimanessero in Venezia, ed ottenessero quivi impieghi nei moltiplici ministeri del palazzo; che i popolari fossero distribuiti qua e colà nelle varie ville della terraferma, assistiti mensilmente di due ducati e mezzo dal pubblico erario; che gli ecclesiastici si provvedessero di mano in mano coi primi beneficii, che fossero rimasti vacanti, ed intanto sarebbero mantenuti a pubbliche spese. CAPO XXXI. Ambasciatore turco in Venezia. Dopo la conferma della pace conchiusa, e dopo che ne furono eseguiti diligentemente da ambe le parti gli articoli, il sultano Maho-met mandò a Venezia, con tutta la pompa della magnificenza