284 LIBRO XXIII, CAPO XVI. CAPO XVI. E imposta una tassa sul clero: disgusti 'perciò col papa. Ma intanto considerava il senato la gravezza del peso, ch’erasi indossata la repubblica, di sostenere e; difendere sola la causa comune dell' intiera cristianità. Il suo erario era esausto, i sudditi stanchi, le speranze scarse e lontane; perciò giudicava non doversi abbandonare il progetto di accomodamento e di pace. Fu deliberato, che si mandasse un ambasciatore a Matias re di Ungheria, con una porzione del denaro promessogli a sussidio, acciocché distraesse altrove le forze del sultano, e ne avesse quinci sollievo, almeno per alcun poco, 1’ armata veneziana. Nè di qua ebbe la repubblica verun profitto, perchè Matias ricevette il denaro e se ne rimase nulla di meno inoperoso. La guerra tuttavia continuava, nè Maometto II pareva disposto a farla cessare. Sempre più cresceva perciò il bisogno di far denaro per avere forze a resistergli. In quesle angustie il senato decretò un’ imposta di decima sopra il clero, proporzionatamente ai benefizii, che ciascheduno possedeva. Del che si chiamò offeso il pontefice, benché veneziano, riputando violati per tale decreto i diritti della ecclesiastica immunità. Perciò fece intimare al senato, che lo dovesse immantinente rivocare, sotto pena di scomunica. Fu mandato allora, ambasciatore straordinario al pontefice, Bernardo Giustiniani, acciocché gli facesse conoscere la sconvenienza di sì rigoroso divieto in un tempo, in cui la repubblica aveva bisogno di maggiori soccorsi per continuare la guerra contro gl’ infedeli. Per verità, il pontefice, più che per la violazione della immunità ecclesiastica, Iagnavasi di quel decreto, perchè non se ne aveva chiesto anticipalamcnte il suo assenso. Paolo li s’era ostinato nella sua proibizione, ed il senato d’ altronde si teneva fermo nella sua volontà; e già si stava per venire dall’una parte e dall’altra a