590 LIBRO XXIV, CAPO XXXIII. futuro concilio, e le sacre ufiìzialure continuarono come prima in tulle le chiese della città e dello sialo. Fu conchiusa, in conseguenza di ludo ciò, la lega offensiva e difensiva, di cui ho parlato poco dianzi, contro il papa Sislo IV e il re di Napoli Ferdinando : e fu messo in piedi un esercito, di cui ebbe il comando generale Ercole d’ Esle. Il papa e il re avevano un’armata di quattro mila fanti ed otto mila cavalli, comandala da Alfonso, duca di Calabria, da Federico fratello di questo e dai principi di Rimini c di Pesaro. L’armata dei Fiorentini e dei loro confederali era inferiore nel numero della cavalleria, ma n’ era d’assai superiore nella fanteria: essa stelle accampata più di tre mesi sul Poggio imperiale, fuor di porta Romana. Ma la peste, che da Venezia era passata nella Lombardia, e da questa nella Toscana, penetrò nei due eserciti e vi fece strage di uffiziali e di soldati. Perciò non si mossero in tutta quella stagione; e mancanti altresì di foraggi, dovettero scemare il numero dei loro cavalli. S’avvicinava inoltre l’inverno: perciò risolsero di trasferirsi a svernare 1’ uno nel territorio di Siena, 1’ altro in quello di Pisa. Giunta la primavera del 1479, i veneziani fecero marciare verso la Toscana tutte le genti, che avevano tenuto sino allora per la difesa del Friuli. Queste raggiunsero l’armata dei collegati, che stava sul Poggio imperiale, ove nel precedente anno Irovavasi. I due eserciti vennero alle mani nei contorni di Siena; nel quale conflitto i veneziani e fiorentini ebbero grandi vantaggi sulle genli del papa e del re Ferdinando. Non molto dopo, queste assalirono quelli presso al Poggio imperiale e li batterono con recar loro assai danno. Nè dopo siffatti scontri si azzardarono più, né dall’una parte nè dall’ altra, ad un decisivo combattimento. Passarono il rimanente della stagione in pigliarsi i posti a vicenda, in rapirsi i convogli, in piccole scaramucce di nessuna importanza.