152 LIBRO XXII, CAPO IV. opera tutte le arti c le maniere, che mai poterono immaginare, per indurre a riconciliazione collo Sforza il pontefice. CAPO IV. Infedeltà del conte Francesco Sforza verso la repubblica veneziana. Le due repubbliche somministrarono ad ingrandimento dell’esercito del conte Francesco quattro mila cavalli: i veneziani vi mandarono condottiero Taddeo d’Este, i fiorentini il capitano Simonetta. Con questo considerevole sussidio egli si trattenne alla difesa dei proprii stati, nel mentre che in assistenza di Renato d’ Angiò stabilì capitano suo fratello Giovanni. Ma questi amministrò così male la guerra, che colla perdita delle migliori milizie diede 1’ ultimo crollo alle speranze del francese rivale di Alfonso. Felicissimo, per lo contrario, fu Tesilo del combattimento dello Sforza contro il generale Piccinino, cui Francesco incalzò con memoranda sconfitta sul Monte Lauro, nella Marca di Ancona. Ma non andò guari, che i rinforzi del re Alfonso, opportunamente sopraggiunli in difesa del già vinto Piccinino, fecero cangiar 1’ aspello alla sorte delle armi per guisa, che lo Sforza fu ridotto all’estremo dell’avvilimento e della disperazione : dopo di avere perduto affatto luttociò che aveva in quella provincia, fu costretto, per salvare la vita, a rifugiarsi in Fano. La necessità indusse allora il conte a riconciliarsi col Visconti: della quale riconciliazione si fece il trattato in Milano, e vi si recò anche il Piccinino. Al comando intanto dell’ esercito rimase il figlio di questo, Francesco Piccinino, la cui inabilità nel mestiere delle armi fece risorgere di bel nuovo dalla sua caduta lo Sforza, e sì, che esso Francesco Piccinino, e con lui il cardinale di Fermo, pontificio legato, vi rimasero prigionieri. Perciò il papa fu alla necessità di far la pace col conte. Ma conchiusa appena, Alessandro