1« 1440. 13 i c del bresciano e della Valcamonica. Egli allora, per non perdere il bel momento, piegò toslo verso la Gieradadda, ed occupò Casal Pusterlengo, Trevi, Rivolta, Caravaggio con tanta celerità, che Filippo Visconti, il quale stava in Milano, ne fu spaventato. I E sì gravemente lo fu, che richiamò tosto in Lombardia il Picci-I nino. Né senza ragione erasi egli spaventato così: imperciocché,se I lo Sforza vittorioso avesse passato 1’ Adda, ne sarebbe stata decisa I totalmente la sorte di Milano, sì per la scarsezza delle truppe del I duca, e sì per lo sbigottimento, che ne aveva occupato gli animi in I ogni luogo. Ma il Piccinino, a cui pareva di aver grande ventura nellaTo-^ scana, ricusò di venirvi : azzardò anzi un combattimento, in cui rimase totalmente disfatto, presso a Borgo San Sepolcro : vi perdet-j te quattro mila uomini oltre a tutta la cavalleria ed a mollissimi carriaggi e bombarde. Vi rimasero prigionieri molti capi dell’esercito e condottieri di squadre : eglino furono Sagramoro, Lodovico da Parma, Jacopo da Camerino, Francesco di Santa Maria, Rober-| to da Monte Acuto, Filippo Schiavo e Jacopo da Rimini. Ed egli ne rimase sì afflitto, che fu per darsi la morte : il suo stesso figliuolo ne arrestò il colpo. Per le quali vicende angustiato il Visconti incominciò a ravvolger nell’ animo sentimenti di riconciliazione colla repubblica nostra, ed anzi poco dopo vi si determinò. CAPO XXX. Progetti di pace tra il Visconti e la repubblica: nozze del figliuolo del doge. Stromento di questa riconciliazione fu il marchese Nicolò di Este, signore di Ferrara. E infatti, dopo di averne fatto le proposizioni scambievoli i due generali supremi di ambi gli eserciti, le Sforza, cioè, e il Piccinino, entrò il suddetto marchese in trattative più d' appresso. Per facilitarne l’effetto, il duca di Milano assicurò