80 LIBRO XXI, CAPO XIII, Quinto Capitolo. « Quinto che tutte le cose messe in la ditta paxe se intenda » sano inteletto. Se dubio occorrerà per questo li arbitri sia di- • chiarado chel sei Marchexe da Ferara e quel da Saluzo. » Nel giorno 10 maggio, in cui a tenore dei patti si doveva pubblicare da per tutto la conchiusa pace, vennero a Venezia per festeggiarla i due marchesi di Ferrara e di Saluzzo, che tanto vi si erano adoperati per concertarla. Loro andò incontro a riceverli il doge stesio nel bucintoro (1), accompagnalo dalla signoria e dal fiore della nobiltà veneziana. Troppo lungo sarebbe il descrivere qui la pompa, con che ne fu celebrato un argomento di tanta letizia. Malo sleale Visconti, avvezzo a mentire persino nei più solenni momenti, in cui prometteva sincerità, violò i patti della restituzione dei prigionieri, trattenendo nelle carceri di Monza il provveditore di campo Giorgio Cornaro, cui poco dianzi abbiamo veduto cadere nelle mani di Nicolò Piccinino, nello scontro di valle Camonica ; e per coprire la sua slealtà fece credere, che fosse morto nella prigione pochi dì avanti la conclusione del trattalo. I veneziani sospettarono, che il duca lo avesse fatto avvelenare ; ma egli per purgarsi di tale sospetto mandò alla repubblica due ambasciatori, Gianfrancesco Gallina e Bartolomeo Imperiali, perchè attestassero al senato, che il Cornaro era morto di morie naturale. Lo si credè, o piuttosto si finse di crederlo. Alcuni anni dopo ne uscì. Sul qual fallo della prigionia del Cornaro, così ragiona il Lau-gier: « Qualunque fosse il motivo che avesse il duca di Milano » nell’ operare così, non potrebbe comprendersi la sua politica in » questo incontro. » Ma la cronaca Zangaruola (2) ce ne manifesta il motivo, dicendo, « e questo per caxon chel ditto messer Zorzi » non i havesse vojudo manifestar i secreti de la Signoria. « (i) Cron. Zangar, cart. 646. (2) Vol. II. cart. 646, a tergo.