428 LIBRO XXXII, CAP. XXV. rito delle investiture conferite dal doge. Ne fu tutt’ al più sconvolto l’ordine; perchè, dopo 1’ elezione, fatta certamente dal doge e dal senato, in conseguenza della proposizione del clero o dell’esibizione dello stesso che vi aspirava, n’ è prescritta la conferma dal patriarca: si noti, del patriarca, e non del papa. Dopo la conferma, il primicerio di san Marco, ovvero un cappellano ducale dava all' eletto il possesso del suo benefizio in nome di san Marco. E qui si osservi, che il primicerio e i cappellani non avevano una particolare e propria rappresentanza, ma erano persone dipendenti dal doge ; cosicché questa ceremonia, così determinata dal rescritto, non consisteva che in una esteriore apparenza di farvi figurare una persona piuttostochè un’ altra, mentre in realtà operavano in nome di quello, da cui dipendevano. Ed anche la formola di dare all’ eletto il possesso del beneficio in nome di san Marco, era una formola insignificante, quanto allo scopo, perchè col nome di san Marco non s’intendeva che la repubblica di Venezia. E similmente il compiersi questa ceremonia nella basilica ducale, pitìttostochè in qual si fosse altra chiesa, mostrava, che 1’ investitura conferivasi dallo stato. Ed era questa quasi una prima investitura, la quale per essere data da una persona ecclesiastica; non però in nome proprio; offriva Taspetto di una investitura spirituale. Seguiva poi la consecrazione dell’eletto. E dopo questa, il doge gli dava una seconda investitura, a cui meglio che alla prima si poteva dare un tal nome ; perchè in essa il doge, col mettere in dito all’eletto, che stava genuflesso dinanzi all’ altare, il suo anello e col dargli in mano il bastone pastorale, ne compiva la ceremonia. Cosicché il concordato si ridusse a raddoppiare il rito, che per lo addietro celebravasi una sola volta. Al proposito di siffatte investiture ci fa sapere la cronaca Altinate (1), che Domenico Villinico vescovo di Olivolo, sdegnando (i) Pag. 68. Questa cronaca fu stam- elùvio storico italiano; dispensa XXVIII, pata a Firenze nel 1847, sulla lettura di append. num. 19. Il fatto, che commemo-un ras. di Dresda, e forma parte dell’or- rai, vi è narrato colle seguenti parole: