anno 1568. !M)7 lilolo di bealo. Accolli favorevolmente quei religiosi e divenuli cari alla città, poterono in questo medesimo secolo, e precisamente nell’anno 1591, metter mano alla erezione del magnifico tempio, che oggidì vediamo, ed a dilatare le loro ristrette celle ad ampio e decoroso convento : e il tempio e il convento furono ridotti al dovuto termine in sull’ incominciare del seguente secolo. Due anni dopo l’accoglienza concessa ai teatini, ottennero domicilio in Venezia gli cremiti camaldolesf, ai quali fu procuralo il possesso dell’ isola di san Clemente. Era quelKisola di proprietà del monastero di santa Maria della Carità, -ed ivi, nella chiesa di quell’abbandonato monastero, il prele Francesco Lazzaroni, pievano di sant’Angelo in Venezia, aveva introdotto, di consenso dell’abate della Carità, la devozione alla santa Vergine di Loreto; anzi, per soddisfare alla sua pietà, ne aveva falto costruire, nell’interno di essa, sulla forma e colle misure della santa Casa, che si venera in Loreto, il divoto edifizio.Or, mentre andavasi inoltrando siffatto lavoro, giunse a Venezia l’eremita camaldolese Andrea Mocenigo, veneziano, desideroso di piantare in patria un eremo dell’ ordine suo. Egli contrasse amicizia in quest’occasione col pio pievano Lazzaroni, e coll’ajulo di lui e di alcuni buoni veneziani affezionati ai camaldolesi, ottenne dall’ abate di santa Maria della Carità, per un discreto compenso in denaro, il possesso di quel-l’isola. Allora il senato concesse al Mocenigo licenza di piantarvi un eremo, del quale i monaci visitatori destinativi dalla congregazione presero il possesso nel dì 4 novembre 1550. Poi furono fabbricate dodici celle, secondo l’uso degli eremiti, nella cui erezione ebbe gran merito il procuratore Reniero Zeno. Priore dell’eremo ne fu dichiaralo il fratello di asso, che nominavasi Tito, e che Io resse per una ventina d’ anni. I domenicani ebbero nel 1535 l’isola di san Secondo, ove avevano prima abitalo monache benedettine, soppresse iu qucl-1’ anno stesso per ordine del papa Clemente VII, che ne aveva perciò delegato Jacopo Pesaro vescovo di Pafo. A questi frali