290 UDRÒ XXXI, CAPO XIX. • e dove i deposilarii del reggimento civile non sapevano nò mo- • strar maraviglia nè querelarsi di una tanta usurpazione. « E proseguendo, alquanto più oltre, a censurare con livida avversione questa condotta dei decemviri, soggiunge (1) : « Così una potestà, » istituita per la conservazione dell’ ordine interiore, aveva trattato t la pace, non pure senza saputa del magistrato incaricato della » politica esterna, ma eziandio in un modo affatto difforme dalle » intenzioni di lui. » Ai quali spropositi del Darù, derivati non saprei meglio dire se da ignoranza o da malignità, io mi contento di opporre, né più né meno, le imparziali osservazioni, che fece su di essi il traduttore ed annotatore del francese storiografo, compendiando contro di esso le dotte censure, che ne aveva fatto eruditamente il Tiepolo. Tuttoché alquanto prolisse, giova trascriverle a pieno sviluppo del-l’argomento. Eccole (2). « — Se Pietro Darù invece di scrivere la storia della repubblica di Venezia appoggiandosi ad estratti o mutilati o male intesi, avesse letto egli stesso distesamente i principali autori che servono a fondamento dell’ opera sua e principalmente Vettor Sandi, senza il quale non è possibile di farsi una precisa idea dell’origine, progressi, forma, e modi delle istituzioni politiche di quella repubblica, certo è, che non sarebbe incappato in que’ tanti strabalzi che fa nel volerci dipingere il governo veneto. Questo istorico o la maggior parte degli scrittori forestieri, credono che il consiglio dei dieci sia stato niente più che un tribunale tenebroso di alta polizia, circondato da sbirri, da spie e da patiboli, spavento a quelli di dentro e orrore a quelli di fuori. Eppure il decemvirato veneto, sorto da una congiura contro Io stato, ristretto ad ufficii meramente criminali, si era a poco a poco dilatato così fattamente, che nel secolo XVI rappresentava, quasi da sé solo, tutto il governo. Quantunque io m’ abbia proposto di trattare di queste materie in fine (i) Pag. 354. (2) Pag. 308 e scg.