I 00 inferno della gentilità io punisco appunto e punirò eternalniente finché starà il regno d’A-pollo, le scellerate figliuole di Danao. Nè fui solo vindice o ministro della vendetta degli dei d'Olimpo, ma sì ancora propiziatore e protet-tor della innocenza ed io feci venir a galla quella di Tucia, e le salvai la vita e la fama. Nè accade di dire eh’ io sia falso e faccia vedere e non veder le persone; che questi fatti accadevano a’ tempi di Bertoldo, ed or più non s’ ausano: i’ mi son anzi di sì bella e ingenua natura, che un nobile ingegno del secentonou dubitò di paragonare a me il cielo, e a’ miei buchi le stelle. Che te ne pare? queste cose di te non si son dette. Tu non salvasti la vita a nessuno, sì a taluno hai fatto perdere il senno, e il sa colui che per tua cagione ha cambiato la Liberata in Conquistata. Fruii. Vaglio, tu m’ hai faccia e costume di quei gentilotti che poi eli’ eglino hanno logorato il loro e sprecato 1’ avere e il contante si fan largo pel mondo co’ titoli e le vane pergamene. Una cosa però t’è uscita di memoria : quali ingegni hanno sempre tenuto la madia e la tramoggia, e qual bel fior io ne colsi. Per questo almeno, panni, è alcuna differenza tra noi. Vagl. Ben t’ apponi, Messere. Vero è pur troppo : tu mercè di tali avesti già buono avvia-