anno 1622. 123 E il Foscarini subì il supplizio dei traditori della patria, il dì seguente, eh’ era il XXI di aprile dell’ anno 1622. Dopo queste notizie incontrastabili, chi potrà sostenere precipitoso il giudizio pronunziato dai decemviri contro il Foscarini, ovvero dirlo condannato da un tribunale « che avea per massima » convenuta di condannare sopra un sospetto come sopra una • prova » (1) ? Egli era innocente, è vero: ma tutte le apparenze lo condannavano ; ma la giustizia umana non sa giudicare se non sul-1’ appoggio di ciò che conosce—juxta legata et probata— ; ma la sua innocenza non venne in luce, che per circostanze estrinseche al fatto suo, le quali se non fossero intervenute di poi, neppure cotesti arroganti censori della condotta e dei sistemi del Consiglio dei Dicci, avrebbero potuto avere il più lieve seniore dell’ innocenza di lui. E sono poi eglino così indiscreti ed ingiusti, che non apprezzano o non commemorano la deliberazione magnanima della slessa repubblica a risarcire la memoria dell’ innocente condannato ed a liberarne dall’ ignominia la famiglia e i nipoti. Infatti, non guari dopo, la vigilantissima circospezione dello slesso Consiglio, venne a scoprire, che una truppa di scellerati, nemici di alcuni nobili, andavano lavorando tra loro insidie e calunnie a danno dell’ innocenza, e sì che gli uni porgevano agli altri assislenza, chi accusandoli di alto tradimento e chi sostenendone con false tesiimonianze le accuse. Primo a rimanere vittima di questa infame congiura fu il Foscarini; ma vedendo in seguito, che si moltiplicavano le accuse contro i primarii del senato, nacque sospetto di falsità negli accusatori e nei lestimonii. E questi e quelli furono arrestati e posti in camerotti separali. Si contraddissero negl’ interrogatorii, sicché ben presto venne in luce la verità; eglino furono condannati al meritato supplizio. Fin qui avrebbe saputo operare qualunque altro tribunale del mondo, a cui fosse toccato di condannare un innocente calunniato da tanti accusatori e (ì) Così ne parla il Daiù; lib. XXXII, § XI.