UMIO XL, CAPO XLII. C A P 0 XLII. Leggi contro il bisso in Venezia e nello Stato. Un allro nemico lavorava a danno della repubblica nostra, e particolarmente in Venezia esercitava i suoi guasti. Questo era il lusso, « dolce veleno, dice il Nani, de’ più incorrotti costumi e mor-» tiferò fiato che uccide l’innocenza degli animi e snerva il vigor » delle leggi. » La bizzarria delle mode straniere aveva sedotto la vanità de’ cittadini ed il disordine aveva fatto progressi, perchè non avevasi avuto l’avvertenza d’interrompergli il corso nelle prime sue mosse. Nella nobiltà particolarmente, tra la licenza del comando e le delizie delle domestiche grandezze facilmente s’introdusse la vanità ne’ vestiti, ed in seguito ogni altra cosa apparente. Le donne per indole loro inclinate ad impegnare ogni arte, ogni studio per adornarsi, ne avevano dato l’esempio : dalle nobili, passò alle cittadine ed alle basse del volgo ; dalla città dominante si diffuse alle sottoposte provincie ; e cosi l’irreparabile torrente recava guasti e danni ad ogni classe di persone ed in ogni ramo di pubblica e di domestica economia. Avevano conservato sino ad ora le gentildonne un abito particolare e modesto, che distinguevale dalle semplici cittadine e dalle donne delle provincie; usavano certi zoccoli alti, che « solle-» vandole sopra la comune statura, dice il Nani, rendevano venera-» tione et una forma più augusta. » Ma in questo tempo, ripudiato 1’ antico modo di vestire e di ornarsi, incominciossi ad adottarne l’ol-tremontano, per guisa, che 1’ uso delle stoffe e de’ diamanti diventò comune; e cosi ogni sorta di vestimenti e di acconciature annunziò palesemente il progresso funesto di un lusso senza limiti, quando non fosse stalo sollecitamente impedito. Era antica in Venezia la magistratura contro le pompe, la quale procedeva con un rito severo, a tenore delle leggi in varii tempi stabilite, e delle quali ho avuto occasione di fare in addietro